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Opinioni

Benvenuti a Napoli, capitale dell’ACAB

Napoli centro dell’odio contro le forze dell’ordine. Ma accomunare le storie di Ciro Esposito e Davide Bifolco significa reggere il gioco di chi vive sulla e si alimenta della conflittualità sociale. Chi pensa di aizzare giocando su storie, periferie e sofferenze scrive il suo nome tra i colpevoli di questa situazione.
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Al di là delle responsabilità – ancora in fase di accertamento – al di là del dolore che è da rispettare sia quando è privato che quando è plateale, pubblico, quasi tribale, in questa terra fertile di opinioni rese ancor più nette e dicotomiche da una narrazione ad uso e consumo dei social network (è un dato di fatto e bisogna tenerne conto senza demonizzare né fare gli struzzi), i due episodi di Ciro Esposito e Davide Bifolco, che qualcuno ha voluto forzatamente associare, hanno reso Napoli la capitale dell'ACAB, il punto di riferimento per coloro i quali sostengono che «All the cops are bastards». Le guardie sono infami e nel caso di Ciro Esposito l'acronimo viene da lontano, è "mentalità" ultras affinata e cementata fuori e dentro gli stadi. Oggi l'omicidio del giovane tifoso ucciso da un altro tifoso (della Roma) prima della finale di Coppa Italia Napoli-Fiorentina giocata nella Capitale è nel ‘faldone Acab' poiché la narrazione delle ore immediatamente successive la lunga e drammatica agonia del ragazzo (Ciro che difende degli amici tifosi e viene poi colpito dall'ultrà romanista Daniele De Santis) confligge con la ricostruzione post-mortem che in queste ore va via via definendosi (De Santis che spara dopo essere stato ferito). Siccome non è possibile tornare indietro, non è possibile rileggere quel che è già considerata storia scolpita nel marmo alla luce di elementi d'indagine nell'ambito di una vicenda rispetto alla quale perfino esponenti delle istituzioni locali come il sindaco di Napoli Luigi de Magistris si sono già espressi, il dietrofront non è contemplato. Ciro è morto in quel modo e chiunque voglia raccontarla diversamente è Acab, è falsa ricostruzione, è tentativo di depistaggio. Depistaggi cui del resto – per onestà va detto – la storia d'Italia non è certo immune.

Perché accomunare la morte di Ciro Esposito e quella di Davide Bifolco ?

Per Davide Bifolco situazione ancora più complessa: manca l'elemento deflagrante e dirimente (non per tutti) del tifo calcistico. È questione di periferie ghetto, di minorenni a bordo di scooter nel cuore della notte, di latitanti che dovevano esserci e poi non c'erano, di ricostruzioni assolutamente di parte, embrionali, da affinare e definire. Genitori diversi, narrazioni diverse. Eppure sono insieme nel turbine del "contesto Napoli", come se si trattasse di una sola storia, come se si trattasse di un solo caso. Li unisce un solo fattore, in verità: Davide e Ciro sono morti e non dovrebbero esserlo. Il resto è commento spesso ridondante, in alcuni casi disonesto, in altri strumentale, finalizzato alla sensazione che tanto fa "engagement" sui social network o si presta a servire un'idea troppo imbarazzante per essere espressa nuda, senza qualche ragione accessoria come specchietto: mi riferisco alle pulsioni pseudo identitarie Nord contro Sud, Savoia vs. Borbone. Nell'anno 2014 d.C.

Il manifesto anti-forze dell'ordine comparso in queste ore in alcuni quartieri della città (FOTO FRANCESCO BORRELLI)
Il manifesto anti-forze dell'ordine comparso in queste ore in alcuni quartieri della città (FOTO FRANCESCO BORRELLI)

Qualche fotogramma: il comandante provinciale dei Carabinieri, colonnello Marco Minicucci, che si toglie il berretto in omaggio (e su richiesta) di amici e parenti del 17enne morto con un proiettile dell'Arma in corpo; il famigerato latitante che sarebbe stato (lui e altri testimoni hanno smentito) sullo scooter con Davide, personaggio inizialmente descritto come un Matteo Messina Denaro e invece mostratosi alle telecamere com'è, un pregiudicato di belle speranze sì, ma non quel capo clan che inizialmente si voleva dipingere. E ancora: lo slogan «Stato che non protegge, ma ci uccide» al rione Traiano, il corteo di parenti e amici disperati ma anche di pluripregiudicati, così come riferisce una recente informativa dei Carabinieri (e questa è un'altra questione che si trascina da sempre, quella delle presunte ‘infiltrazioni' della malavita nelle proteste, spesso motivazione-spauracchio come nel caso di alcune rivolte anti discarica). I funerali di Ciro Esposito, le magliette degli ultrà, l'epopea di Genny ‘a carogna, lo Speziale Libero". E allargando l'inquadratura: la rabbia dei disoccupati organizzati, quella dei dipendenti delle aziende partecipate della Regione Campania, degli Operatori sociosanitari, dei precari delle aziende pubbliche e private in crisi. Dall'emergenza lavorativa al degrado sociale, dalla povertà senza sbocchi all'odio in vitro, allevato poiché funzionale a vari scenari, la capitale dell'ACAB è qui ed è una questione per affrontare la quale non servono passi in avanti (nelle indagini, delle famiglie coinvolte, delle istituzioni) ma passi indietro: nel linguaggio, in un certo giornalismo al soldo di una narrazione necessariamente estrema e infedele, una responsabilizzazione da parte degli avvocati che hanno in mano il materiale d'indagine e di associazioni o presunte tali: Abele è la vittima e nessuno tocchi Caino, ok: però chi pensa di aizzare giocando su storie, periferie e sofferenze scrive il suo nome tra i colpevoli più infami e fra i nemici più acerrimi di questa città.

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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