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C’era una volta il re fiamma: con temi e disegni i bambini raccontano la Terra dei fuochi

La parola ai bambini cresciuti all’ombra (tossica) del fumo dei roghi tra Napoli e Caserta: in un libro la sofferenza ma anche la speranza delle nuove generazioni della Terra dei Fuochi della Campania.
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«Solo a una domanda non sapeva rispondere: perché, Signore, i bambini muoiono?». Ne ‘L'Idiota' di Dostoevskij la domanda più nera non ha risposta. Perché muoiono i bambini non si spiega; già la sola questione, una volta posta, è la rappresentazione d'una sconfitta: quali parole potranno mai rendere razionale il più crudele dei dolori, per un genitore. Di foto dei bambini sono pieni i cimiteri della Terra dei fuochi: nei caseggiati popolari del tristemente noto quadrilatero dei veleni tra Napoli, Caserta e le rispettive aree metropolitane troppe volte i preti si sono trovati a benedire bare bianche e a interrogarsi dall'altare, come il parroco del "Grande Cocomero" di Francesca Archibugi che cita proprio il romanzo del principe Myskin: «Perché, Signore, i bambini muoiono?».

Raccontare questo dolore si può. Si deve, se si è giornalisti, si è vissuti all'ombra delle colonne di fumo dei roghi tossici di quelle terre, se si è finanche provata la malattia in prima persona, storia fra le tante, appena accennata, nel pudico rispetto delle vicende altrui (e difatti il cronista, secondo buona prassi, dovrebbe evitare d'essere protagonista). In "C'era una volta il Re Fiamma – la Terra dei fuochi raccontata e disegnata dai bambini" (Round Robin Editore, 126 pp.) Angela Marino, giornalista nata e vissuta a Caivano, oggi redattrice di Napoli Fanpage.it, ha deciso che a parlare dovevano essere gli stessi bambini. Non le loro storie, non la loro sofferenza, né tanto meno il dolore provocato e modellato da certi giornalisti, spesso calati tra Caivano, Aversa, Afragola, Giugliano con la delicatezza di un elefante in una cristalleria, alla ricerca  esclusiva di lacrime, malattie e morte, saltando a pie' pari ogni "fastidioso" approfondimento sulle responsabilità di quel disastro ambientale oggi conosciuto come la "terra dei fuochi della Campania". A parlare, a scrivere, a disegnare, sono stati dunque i bambini.

E in una fase in cui le "children's reactions" sono gettonatissime, soprattutto in video, la scelta dell'autrice di sottrarsi a questa modalità è un atto quasi politico: ai ragazzini viene sì chiesto di discutere della Terra dei fuochi ma nell'ambiente tutelato della scuola (a proposito, ma il sistema dell'istruzione in Campania ha mai pensato di istituzionalizzare almeno un'ora al mese per discutere di questi temi?) viene data loro la possibilità facoltativa di elaborare uno scritto di qualsiasi tipo (tema, lettera, poesia) o un disegno. Le loro facce sono dunque protette dall'esposizione ad una domanda dolorosa, il loro ragionamento si concentra su ciò che diranno all'autrice e alle maestre che hanno intelligentemente acconsentito a questo lavoro, la richiesta di espressione non  è obbligatoria ed è resa possibile su più piani. Il risultato è  nelle circa centotrenta pagine di testi e immagini. È potente e sincero, dimostra che non c'è bisogno di artifizi per ottenere dai bambini quella verità «più forte di qualsiasi cosa, più luminosa del giorno, più terribile di un uragano» per dirla col ‘Giacomino di Cristallo' di Gianni Rodari.

«Elaboravo – scrive Angela Marino nel preambolo che chiarifica e introduce la raccolta di opere dei bimbi che rappresenta il corpus di "C'era una volta il Re Fiamma" – queste domande e mi rendevo conto che avrebbero potuto rispondermi solo loro. No, non alle domande sulla loro salute, sulla paura, sulla comprensione di tutta la vicenda. Alla domanda: Che ne sarà di noi? Nessuno sa emendare la verità dall’ipocrisia e dall’errore come i bambini. A loro dovevo chiedere. Dovevo lasciarmi alle spalle il passato, la tragedia, i fantasmi della nostra gente che ci accompagnano, muti, ogni giorno della nostra vita e chiedere a loro, se una speranza c’è ancora. Ho cominciato il mio viaggio nelle scuole elementari, ho spulciato i loro temi, ho chiesto ai loro insegnanti quanto male di vivere, quanta gioia, quante domande hanno i figli della Terra dei Fuochi».

Nessun ammiccamento alla quasi-realtà da fiction, dura ma scenograficamente accettabile, contrabbandata dal mainstream per rendere meno amara la pillola del dolore, dell'incomprensibile domanda dall'impossibile risposta sui bambini che muoiono o soffrono o sui genitori alle prese con l'Irrisolto; nessun ragionamento indugiante su un contesto sostanzialmente immobile, statico, scosso di tanto in tanto da programmi-choc in tv da titoli-choc sui giornali, arrabbiato come dimostrano le attività dei comitati territoriali che chiedono la bonifica dei terreni ma facilmente ammansito da promesse politico-elettorali. Nessun rischio di tramutare questo libro in una sorta di "Io speriamo che me la cavo" della disperazione: la scelta del materiale da pubblicare, delle interviste da proporre, dei disegni da rendere noti, è stata fatta nel rispetto di chi, una volta col libro in mano, avrebbe cercato non lo stile ‘gomorriano' che va per la maggiore (ormai più a nord del Garigliano che in Campania) bensì un racconto duro, senza fronzoli ma al tempo stesso dolce nella sua accuratezza. Sono proprio i racconti dei bambini, infatti, le vere perle di speranza, sono quei disegni la vera prospettiva di un futuro migliore. Del resto, l'evocativo titolo fiabesco sul "re fiamma" e la citazione del polemista Gilbert K. Chesterton in apertura rendono a pieno l'idea: «Le fiabe non dicono ai bambini che esistono i draghi: i bambini già sanno che esistono. Le fiabe dicono ai bambini che i draghi possono essere sconfitti».

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