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Caso Bifolco, la Procura non riceve l’avvocato. La famiglia: “Scriviamo al ministro”

“Non valiamo niente per la giustizia – si sfoga il padre di Davide, Giovanni Bifolco – Abbiamo vissuto questa cosa come una grave mancanza di rispetto, ci rendiamo conto che è stata tolta la vita a un ragazzo di 17 anni? Ci rivolgeremo al ministro della Giustizia”
A cura di Gaia Bozza
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Il caso di Davide Bifolco, che a 17 anni, a Napoli, è morto con un colpo di pistola al petto sparato da un carabiniere, continua. Ad agosto sono state pubblicate le motivazioni della sentenza di condanna dell'imputato, il militare Giovanni Macchiarolo, per omicidio colposo. La pena comminata dal Tribunale di Napoli, quattro anni e quattro mesi di reclusione, è stata più dura della richiesta del pm; la famiglia, per le controverse modalità della morte di Davide, si è detta più volte convinta che quello fosse un omicidio volontario. Convinzione, peraltro, supportata da numerosi lati oscuri nella ricostruzione offerta dai testimoni e dall'imputato stesso, come il nostro giornale ha raccontato. Nelle motivazioni della sentenza, come ha rilevato Fanpage.it, il giudice ha osservato che  "al momento dello sparo, pur senza puntare senza cioè assumere una posizione volta ad una ponderata collimazione di un bersaglio, (Macchiarolo, ndr) aveva certamente il dito sul grilletto della pistola. Tuttavia l'imputato non voleva sparare".

Si arriva alla vigilia dell'appello, che è alle porte: come spesso succede quando si tratta di casi delicati, la parte civile chiede un incontro con il Procuratore generale. E così ha fatto l'avvocato Fabio Anselmo, il legale della famiglia Bifolco ma anche di Cucchi, Aldrovandi e altri; a fine settembre ha inoltrato una richiesta di incontro al Procuratore Generale. La risposta è arrivata qualche settimana dopo. In sostanza: no. L'avvocato dei Bifolco non verrà ricevuto. Viene notificato un decreto "ai sensi dell'articolo 572 del codice di procedura penale" nel quale viene anticipato che la Procura non impugnerà la sentenza di primo grado, peraltro senza motivare il rifiuto. Peccato, però, che il legale – che tra l'altro in questi giorni ha vinto il Premio Borsellino – non avesse chiesto assolutamente nulla. Solo incontrarsi.

Un rifiuto, questo, che "lede le prerogative processuali riconosciute dal codice alla parte civile", risponde Anselmo in una nuova lettera alla Procura Generale. In sostanza, i diritti della famiglia Bifolco, che sono parte offesa in questo procedimento. "Non valiamo niente per la giustizia – si sfoga il padre di Davide, Giovanni Bifolco – Abbiamo vissuto questa cosa come una grave mancanza di rispetto, ci rendiamo conto che è stata tolta la vita a un ragazzo di 17 anni? Ci rivolgeremo al ministro della Giustizia. La mia famiglia, io, mia moglie ci sentiamo calpestati ma vogliamo credere nella giustizia".  Inoltre, ironia della sorte, nel decreto emesso dalla Procura ci sono due errori: la sentenza viene erroneamente definita "di assoluzione" e il processo viene definito "a carico di Bifolco". Che, invece, non c'è più.

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