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Opinioni

Così ho scoperto le meraviglie del Rione Sanità

“I palazzi stupendi nella loro storia. E gli odori dei supermercati pakistani e arabi che si confondevano con i profumi del primo salone per capelli che incontravo. Sembra la periferia di se stessa, a pochi passi da uno dei suoi più importanti musei, Ma se ci pensi, se ti fermi, tu in città, a Napoli, nel ventre di Partenope, ci sei già”.
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A cura di Chiara Arcone
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Riceviamo e volentieri pubblichiamo un racconto sulla ‘scoperta' del Rione Sanità, dei suoi abitanti, dei suoi luoghi.

Uscivo dalla metropolitana dopo poco esservi entrata. Per fortuna la mia fermata era una delle prime.
Lo spiazzo che mi accoglieva era sempre pieno di bimbi. Un anno fa, li, non c'era nulla. Il super santos era il loro mondo di giochi. Le cose ora sembrano diverse, ho notato che sono state messe delle giostre.
Di solito scendevo i gradini e camminavo sul marciapiede. La piazza, quindi, la lasciavo sopra di me e costeggiavo il muretto che la circonda. Di quei bimbi vedevo solo i piedi. Le scarpette consumate. E sentivo le loro grida che rendevano più potenti i calci al pallone.
Percorrevo la strada che mi portava a destinazione. Non molto lunga, non troppo ripida.
I palazzi che la costeggiano sono stupendi nella loro storia. E gli odori dei supermercati pakistani e arabi si confondevano con i profumi del primo salone per capelli che incontravo.
C'era da fare attenzione all'incrocio, superato il quale, si trovava una scuola.
Davanti al portone, anche lì, di guardia e di vedetta, custodi senza sosta e senza orari se non quello del sole che tramonta, c'erano due bimbi che giocavano concentratissimi. Come se l'infinito moto perpetuo e costante di quella palla, da un lato all'altro, portasse ad un intento ben preciso, ad un qualcosa di fantastico che solo loro capivano e, esultando, te lo comunicavano.

Il marciapiede svoltava a destra, ed io con lui. Il suo manto cambiava. Era ricoperto, in base alle stagioni, da foglie di colori diversi. Dalla scuola, infatti, si affacciano alti alberi.
In primavera diventava un tappeto rosa. Lo notavo sempre. Era un colore insolito per quel marciapiede. In quel posto.
Finita la strada, svoltavo a sinistra, percorrevo altri cinquanta metri e poi eccolo, il mio portone di destinazione.
Entravo, odore di legno e cassapanche come panchine. Parquet per terra. Piedi scalzi. Collant con il piede scoperto, un body. Capelli legati. Una scala a chiocciola che portava al parquet del piano di sopra. Due casse. Quattro tessuti per danzare nell'aria, un cerchio. Ragazze e ragazzi che si muovono, prima sul pavimento di un secondo piano di un palazzo al centro del quartiere, poi a sei, sette, otto metri d'altezza, da quel parquet, da quel secondo piano, da quel palazzo. Da Napoli. Dal mare.

Ora lo posso dire, la fermata era Cavour, la strada che percorrevo era quella che porta alla Sanità. E proprio alla Sanità ho imparato a volare.

Così come alla Sanità ho mangiato uno dei dolci più buoni che abbia mai assaggiato. Percorrevo quelle strade con l'acquolina in bocca ed ottanta centesimi in tasca già pronti per accontentarla.
In quel quartiere ci sono stata per un anno, ogni settimana, dalle sette alle nove di sera.
L'ho iniziato a frequentare per un corso di danza aerea. E le strade mi hanno totalmente travolta per la loro esuberanza. Un'esuberanza che però si spegne con le luci del mercato, con la chiusura delle porte delle scuole e lascia un buio che ti fa allungare il passo per "tornare in città".
Ma se ci pensi, se ti fermi, tu in città, a Napoli, nel ventre di Partenope, ci sei già.
Eppure, sembra la periferia di se stessa, a pochi passi da uno dei suoi più importanti musei.
Per quelle strade l'età media era molto bassa. Eppure i bimbi erano grandi nelle loro responsabilità da adulti. Creare, attrarre, proporre un’ alternativa che risponda a quelle che sono le loro esigenze, può essere un modo per far sì che anche in quel luogo, a tutti, sia data l'opportunità di volare, restando con i piedi per terra. Io alla Sanità ho appreso una disciplina. Nello stesso posto c'è chi impara ad essere altro da sé, a recitare.
Poco più avanti c'è chi si mette in gioco sperimentando ingredienti.
Le volontà, quindi, non mancano per trasformare gli esperimenti di normalità in ordinaria quotidianità. Non esiste nessuna formula magica per trasformare quella emarginata bagarìa in forza attrattiva. Basterebbe solo restare con i piedi per terra e capire in che modo il passo può diventare libero e rallentare percorrendo quelle strade piene di storia.
Nessuna magia, solo olio di gomito e volontà per ridare a Partenope il suo oro di Napoli.

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