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Eduardo De Filippo in Questi Fantasmi: il monologo del caffè di Pasquale Lojacono

Eduardo De Filippo in ‘Questi Fantasmi’ interpreta lo squattrinato e disperato Pasquale Lojacono, incapace (fino a un certo punto) perfino di rendersi conto di ciò che gli accade sotto il naso. Tra gli indimenticabili monologhi della commedia in tre atti c’è quello sul caffè sul balcone, rivolto al dirimpettaio, che è entrato di diritto nella storia del nostro teatro.
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"Questi fantasmi" una delle commedie che sancirono il passaggio di Eduardo De Filippo dal teatro umoristico (con i fratelli Titina e Peppino) a quella produzione così importante da meritarsi l'appellativo di "Teatro di Eduardo". Appartiene alla categoria di capolavori quali Filumena Marturano e Napoli Milionaria. È una commedia in tre atti, scritta nel 1945 ed interpretata da Eduardo nel 1946 all'Eliseo di Roma. Un successo strepitoso. Pasquale Lojacono, povero e squattrinato, costretto ad abitare in una grande casa di via Tribunali, creduta infestata di fantasmi e per questo ceduta gratuitamente dal proprietario per cinque anni, allo scopo di riaccreditarla e scacciare via l'alone tetro è il protagonista della commedia. La moglie ha un amante e per una serie di incredibili circostanze Pasquale crede si tratti di un fantasma. Tra un fraintendimento e una confessione dolorosa, Lojacono ha dei simpatici dialoghi con il suo dirimpettaio, il professore (che non si vede mai né si sente).
C'è un monologo di Pasquale-Eduardo indimenticabile: quello sul caffè alla napoletana. Nella commedia viene utilizzata la vecchia macchinetta del caffè, la cosiddetta ‘macchinetta napoletana‘ o cuccumella (in realtà è stata inventata in Francia nell'Ottocento). Ebbene Eduardo riesce in pochi minuti a condensare le abitudini comuni di chi all'epoca usava quella macchinetta per il caffè, la sigaretta come intermezzo, il cuppetiello sul beccuccio della macchina per non disperdere l'aroma.
Il monologo è storia del teatro.

PASQUALE LOJACONO – A noialtri italiani, toglieteci tutto ma questo poco di riposo in terrazza… Io, per esempio, a tutto rinuncerei tranne a questa tazzina di caffè, presa tranquillamente qua, fuori in terrazza, dopo quell'oretta di sonno che uno si fa dopo mangiato. Però il caffè me lo devo fare io stesso, con le mie mani. Questa è una macchinetta per quattro tazze, ma se ne possono ricavare anche sei, e, se le tazze sono piccole, anche otto… quando vengono gli amici… d’altra parte il caffè costa così caro… (Ascolta, poi)

Mia moglie queste cose non le capisce. È molto più giovane di me, sapete, e la nuova generazione ha perduto queste abitudini che, secondo me, sotto un certo punto di vista, sono la poesia della vita; perché, oltre a farvi occupare il tempo, vi; danno pure una certa serenità di spirito. Nessuno potrebbe mai prepararmi un caffè come me lo preparo io, con lo stesso zelo… con la stessa cura… Capirete che, dovendo servire me stesso, seguo le vere esperienze e non trascuro niente… Sul becco… lo vedete il becco? (Prende la macchinetta in mano e :indica il becco della caffettiera) Qua, professore, dove guardate? Questo… (Ascolta) Vi piace sempre di scherzare… No, no… scherzate pure… Sul becco io ci metto questo cappellino di carta… (Lo mostra) Sembra niente, ma questo cappellino ha la sua funzione… E già, perché il fumo denso del primo caffè che esce, che poi è il più carico, non si disperde.

Come pure, professore, prima di versare l'acqua, bisogna farla bollire per tre o quattro minuti, per lo meno, prima di versarla, vi dicevo, nella parte interna della capsula bucherellata, bisogna cospargervi mezzo cucchiaino di polvere appena macinata. Un piccolo segreto ! In modo che, nel momento in cui sale, l'acqua, in pieno bollore, già si aromatizza per conto suo. Professore, anche voi vi divertite qualche volta, perché, spesso, vi vedo fuori in terrazza che fate la stessa cosa. (Rimane in ascolto) Sì, sì anch’io. Anzi, siccome, come vi ho detto, mia moglie non collabora, me lo tosto da me… (Ascolta) Anche voi, professore?… Fate bene… Perché, quella, poi, è la cosa più difficile: indovinare il punto giusto di cottura, il colore…: color manto di monaco. È una grande soddisfazione, ed evito pure di arrabbiarmi, perché se, per una dannata combinazione, per una mossa sbagliata, sapete… vi scappa di mano la cuccuma,… e si mescola il caffè con i fondi insomma, viene uno schifo… siccome l'ho fatto con le mie mani e non posso prendermela con nessuno, mi convinco che è buono e me lo bevo lo stesso. (il caffè ormai è pronto)

Professore , il caffè è pronto. (Versa il contenuto della macchinetta nella tazza e si dispone a bere) Ne volete un po’… Grazie. (Beve) Accidenti, questo si che é un caffè… Vedete quanto ci vuole poco per rendere felice un uomo: una tazzina di caffè presa, tranquillamente, qui fuori… con un simpatico dirimpettaio… ;perché voi siete simpatico, professore… (Seguita a bere)
Adesso mezza tazzina la conservo, e me la bevo tra una sigaretta e l'altra.

(Accende la sigaretta. Al professore che gli avrà rivolta qualche domanda) Come?… Non ho capito (Rimane in ascolto) Aaah… sì, sì… Niente, professore l’avevo detto : sciocchezze. Non ho mai creduto a questo genere di cose, se no non ci sarei venuto ad abitare

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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