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Governare la Campania e lasciare il segno: l’ultima chance di Vincenzo De Luca

A 66 anni il presidente della Regione Campania, da sempre figura di secondo piano in regione, prima col Pci poi col Pds, i Ds e infine col Partito Democratico, ha oggi la possibilità di passare da Sceriffo di Salerno a Leggenda della Selvaggia Campania. Se avrà polso (nella gestione della spesa) e pugni (da battere sul tavolo di un governo fin troppo disinteressato dalla regione e del Sud Italia).
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«È fernuta ‘a zezzenella» scrivono i suoi pretoriani, quelli per cui il Grande Sindaco sarà sicuramente un Grande Presidente. E la  Grande Mammella (appunto, la zezzenella) è lì, in attesa.  Il grande palazzo della Regione Campania aspetta il nuovo inquilino da un mese. Fermi i bilanci delle aziende partecipate che nessuno vuol firmare, fermi i pareri tecnici e amministrativi, fermi i rinnovi di forniture, nomine, consulenze, ferma l'azione politica. Tutto fermo. Nel frattempo, il Palazzo respira. Si riempie e si svuota dell'esercito di dirigenti, dipendenti, tecnici, visitatori che quotidianamente animano la valle di via Santa Lucia, lingua di pietra lavica che col conforto di qualche albero a riparare dal sole cocente arriva al Castel dell'Ovo.

«Allora dutto', chisto vène, o no?». Sì, arriva, stavolta arriva. Non come Matteo Renzi e suo celebre tweet "Arrivo arrivo!", ma Vincenzo De Luca, il presidente della Campania più discusso dell'ultimo decennio, arriva. Una candidatura fra i veleni, una vittoria risicata contro il centrodestra, la battaglia contro la sospensione per la Legge Severino e ora, dalla volta buona a ‘a vòta bona è un attimo. Non è la presa del palazzo d'Inverno che cinque anni fa, secondo lo strampalato storytelling che Luigi de Magistris al Comune di Napoli mise in piedi per i napoletani desiderosi di mandare a casa il potere a trazione Pd, ma non è nemmeno un profilo rasoterra degli ultimi cinque anni con il governatore-invisibile Stefano Caldoro.  Quello di Vincenzo De Luca, alias ‘Pol-Pot' ai tempi dell'ortodossia Pci, alias Vicienzo ‘a funtana, ai tempi delle grandi opere che a Salerno dovevano prevedere fontane ovunque, alias lo ‘sceriffo rosso' per il legalitarismo spinto che ha fatto per molti anni di Salerno un fortino, un profilo molto politico sì ma che ha dentro il seme, piantato anni e anni fa e solo ora fiorito, della rivincita.

Foto del 1980 con Antonio Bassolino, Enrico Berlinguer, Paolo Nicchia e sullo sfondo Vincenzo De Luca.
Foto del 1980 con Antonio Bassolino, Enrico Berlinguer, Paolo Nicchia e sullo sfondo Vincenzo De Luca.

Questa immagine, pubblicata da Il Post, in un lungo articolo su De Luca non è solo un documento storico, è il simbolo di quelli che sono stati i rapporti di forza nel partito e in Campania. Bassolino al fianco delle scelte del partito e in fondo, Vincenzo De Luca che guarda da lontano. Non è in fondo alla platea, ma sul palco. Però relegato in un ruolo secondario e senza posto a sedere.

Sono passati degli anni, oltre trenta: lo sceriffo di Salerno ha scalato Salerno ed è approdato a Napoli, centro nevralgico, stanza dei bottoni. Una intera classe politica è stata spazzata via da Tangentopoli negli anni Novanta, un'altra classe politica si è consumata nel passaggio alla stagione dei sindaci, nella fase riempita di berlusconismo e scissioni della sinistra, bruciando la generazione successiva, quella che avrebbe dovuto raccogliere il testimone e invece o è diventata antipolitica o semplicemente, è entrata nel più grande partito d'Italia, quello del non-voto.

Vincenzo De Luca è del 1949, ha oggi 66 anni, se concluderà il mandato regionale lo farà a 71 anni, quando le energie e le motivazioni potrebbero venire a mancare o forze più giovani potrebbero reclamare il posto (certo, guardando il caso di Ciriaco De Mita, a 87 anni sindaco di Nusco, viene da non riporre troppe speranze…). Lo sceriffo ha un solo proiettile in canna e deve centrare il bersaglio. Ha dunque, se come pare ormai possibile per non dire probabile, la Legge Severino si infrangerà sugli scogli della Corte Costituzionale, la possibilità di governare con forte autonomia la Campania, smarcandosi da quei lacciuioli politici che furono la dannazione e il guaio della seconda legislatura regionale di Antonio Bassolino.

«La verità è che i problemi concreti chiamano a scelte che toccano rendite di potere oltre lo schema del si e del no Prendiamo la realtà del Sud: non reggiamo senza canali di organizzazioni sociali, e con la parola d'ordine generale del lavoro quando il mercato del lavoro è tutto privato o politico, e la lotta collettiva è inefficiente. Non reggono proposte generiche per il Sud e l'innovazione qui deve essere radicale».
Così scriveva Vincenzo De Luca nella sua relazione congressuale di commento alla segreteria di Achille Occhetto, nel 1990, anno della svolta della Bolognina e del passaggio da Pci a Pds. Sono parole che lette oggi, hanno una loro attualità. E se alle parole, agli sproloqui sulle tivvù private e al tono tanto amato da Maurizio Crozza, Vincenzo De Luca saprà associare polso (nella gestione) e pugni (da battere sul tavolo di un governo sempre meno interessato alle sorti della Campania) forse davvero lo sceriffo salernitano potrà appuntarsi la stella di Leggenda della Selvaggia Campania.

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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