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La nuova camorra non ha più clan: ormai sono gang di giovani assetati di sangue e potere

La relazione semestrale 2017 della Direzione investigativa antimafia: in Campania lo scenario è sempre più precario anche nella malavita organizzata. I gruppi camorristici che si contendono strade e piazze non hanno un vertice e agiscono con ferocia da gang. Reclutano sempre più giovanissimi e non hanno legami col territorio, usano il terrore e la violenza. È sempre lo spaccio di droga il principale elemento di guadagno, ma si punta anche a grossi traffici internazionali e investimenti finanziari.
A cura di Cir. Pel.
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Non esistono più i clan: per capire la camorra napoletana bisogna ridisegnare non solo la mappa su un territorio fatto di alleanze e sodalizi da sempre instabili, ma bisogna rinnovare il lessico. Non più clan,  non più famiglie accomunate da interesse più grande, in questo caso il controllo di aree e di traffici leciti e illeciti, ma bisogna parlare di gang, di gruppi sociali sempre più vicini alle bande di strada come quelle dei sobborghi americani o delle favelas sudamericane. Lo scenario  è tracciato dagli investigatori della Dia, la direzione investigativa antimafia, nella semestrale relazione inviata al Parlamento.

Perché non più clan di camorra, perché la trasformazione in gang? L'età degli affiliati e dei capi si è significativamente abbassata; le gang non hanno la possibilità né vogliono «mantenere l'ordine» sul proprio territorio. Non serve più quella tranquillità apparente, quella parola non detta che nell'educazione mafiosa vale più di una parola detta. «Molteplici – scrive la Dia –  sono le cause che hanno contribuito alla destabilizzazione di talune organizzazioni: le scissioni interne, l'incapacità di dotarsi di un apparato militare efficace e l'impossibilità di garantire mensilmente stipendi ad affiliati e famiglie dei detenuti. A tali motivazioni si associano altri due fattori esogeni: da un lato, le operazioni di polizia giudiziaria, con arresti, scoperta di covi, sequestri di beni; dall'altro, l'avvio di importanti collaborazioni giudiziarie». Le gang sono ovviamente «più pericolose per la sicurezza pubblica rispetto a quanto accadeva in passato».

Sul piano organizzativo, al posto delle passate strutture criminali «vanno quindi affermandosi – spiega la Dia – nuove compagini, che agiscono con particolare violenza e sfrontatezza, spinte da un'esasperata mania di protagonismo, espressa anche attraverso scorribande armate ed esplosioni di colpi di arma da fuoco . Parliamo delle micidiali ‘stese' che terrorizzano i residenti al centro storico, in particolare il Rione Sanità e periferia (soprattutto Pianura, nell'area Ovest e Ponticelli, area Est).

«Alcune aree del territorio regionale campano continuano ad evidenziare uno scenario instabile e in costante trasformazione – si legge nella relazione semestrale 2017 della Dia -. La realtà criminale appare significativamente diversa da zona a zona, con riferimento alle strutture, agli obiettivi e al modus operandi dei singoli clan. A Napoli e provincia, la presenza di un numero elevato di gruppi, privi di un vertice in grado di imporre strategie di lungo periodo, continua a determinare la transitorietà degli equilibri».

La mappa della camorra nella città di Napoli

Precarietà ed inconsistenza rappresentano, le caratteristiche dei gruppi emergenti, nonostante tra le loro fila militino soggetti provenienti da storici sodalizi, quali i Giuliano e i Mazzarella che sono egemoni nel  centro antico. Questi sodalizi operano soprattutto in alcune zone  – Rione Sanità, Forcella, zona Mercato, Pianura, Soccavo, Ponticelli, San Giovanni, Barra  e – osservano gli investigatori – hanno elaborato un'identità comunicativa collettiva per riconoscersi fra loro e diversificarsi, allo stesso tempo, dagli altri gruppi. Di che parliamo? Parliamo delle barbe lunghe e folte, alla mediorientale, come quelle dei Sibillo della ‘paranza dei bambini' dei tatuaggi autoreferenziali di appartenenza ad un clan, come quelli degli affiliati al clan Genidoni.

La forza dei sodalizi è precaria, appartenenza degli affiliati è precaria ma i riti e i segni di appartenenza  paradossalmente si rafforzano. «Ci si trova, così, di fronte a tanti piccoli "eserciti" senza una vera e propria "identità criminale", che utilizzano la violenza come strumento di affermazione ed assoggettamento, ma anche di sfida verso gli avversari».

«Un importante indicatore di tale situazione di instabilità – conclude la Dia – si rileva nell'elevato numero di omicidi, ferimenti ed atti intimidatori che confermano la persistenza di molteplici focolai in precise aree del capoluogo e nella immediata provincia". Accanto a questa nuova fisionomia dei "moderni gruppi camorristici" sopravvivono alcuni clan della "passata tradizione criminale", storicamente e saldamente radicati sul territorio, che continuano a preservare la propria forza attraverso le nuove generazioni, puntando su grossi traffici internazionali e investimenti finanziari». Ma la fonte di guadagno principale resta sempre «spaccio di sostanze stupefacenti, praticato quasi sempre da giovanissimi, per conto delle organizzazioni camorristiche».

La camorra in provincia di Napoli

«Le considerazioni fatte per la città di Napoli – precisa la Dia – non possono essere estese tout court alla provincia, dove non si registrano situazioni di accesa fibrillazione. In particolare, l'operato dei sodalizi che agiscono nella provincia vesuviana – potenti e radicati nel territorio – non si caratterizza per la commissione di azioni eclatanti fatte di sparatorie ed agguati. L'agire sotto traccia consente loro di infiltrare, senza clamore, le amministrazioni comunali e l'imprenditoria locale, di gestire parte della grande distribuzione e di assumere una posizione dominante nel mercato della droga».

Analoghe considerazioni valgono per i clan del Casertano, dove gli assetti appaiono meno instabili in ragione di una ormai consolidata presenza di gruppi, tra cui il clan dei Casalesi, che nel tempo hanno dato vita a solide alleanze mettendosi al riparo da scontri tra fazioni e riuscendo, così, a mantenere il controllo del territorio, nonostante la cattura e la collaborazione con la magistratura di elementi di vertice».

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