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Morto Carmine Schiavone, l’uomo dei segreti sulla Terra dei fuochi

Con Schiavone non muore un eroe, né un uomo dispiaciuto di aver avvelenato la zona della Campania tra Napoli e Caserta: muore un uomo che ha portato nella tomba, probabilmente, più segreti di quanti non ne abbia confessati.
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 «Fra vent'anni moriranno tutti di cancro». Così Carmine Schiavone, l'uomo dei segreti sulla Terra dei fuochi disse a chi gli chiedeva quale sarebbe stato il futuro di città e paesi a Nord di Napoli, a ridosso di Caserta, in quel quadrilatero che un tempo era la Campania Felix e Terra di lavoro, il paese del sole che oggi conosciamo come Terra dei fuochi, dove cancro e veleni sono le uniche due parole che si usano associate alle persone, alle cose, all'aria, all'acqua, alla vita. Carmine Schiavone autoaccusatosi dei peggiori crimini ambientali, è morto a casa sua, nel Viterbese, non in carcere e a tradirlo è stato – stando alle prime notizie – un infarto. Da alcuni anni era uscito dal programma di protezione per i pentiti e per un periodo è stato una vera e propria "star" dei talk show nostrani, invitato a parlare del biocidio avviato dai Casalesi per interrare rifiuti tossici in tutto il circondario tra Napoli e Caserta.

I segreti di Schiavone davanti alla commissione Ecomafie

Nel 1997 sentito dalla Commissione parlamentare sulle Ecomafie, Schiavone spiegò che traffico e l'interramento dei rifiuti in provincia di Caserta era un affare da 600-700 milioni di lire al mese, che ha devastato terre nelle quali, visti i veleni sotterrati, si poteva immaginare "che nel giro di vent'anni morissero tutti". Quei verbali furono desecretati solo nel 2013. E nel frattempo il disastro si è compiuto, ora possiamo soltanto parlarne, sperando che prima o poi la bonifica venga avviata. Da Caivano a Afragola, da Casapesenna a Casal di Principe, da Castel Volturno fino alla zona Flegrea e così via: rifiuti radioattivi, fanghi nucleari, scorie di lavorazione del pellame, metalli pesanti, cromo, mercurio, diossina, parole che abbiamo sentito migliaia di volte. Insieme ai racconti di Schiavone, che spiegava come i camion arrivassero dalla Germania carichi di veleni e venissero svuotati in Italia, di come mafia, ‘ndrangheta e Sacra Corona Unita si fossero divise la torta, enorme, dello smaltimento abusivo dell'immondizia tossica, di come, col supporto di pezzi dello stato, di coloro che dovevano controllare e non lo fecero, tanti dubbi e interrogativi ancora restano. Il racconto del pentito della dinastia Casalese è stato in alcuni sconfessato per alcune parti, basti pensare alla improbabile «caccia al fusto tossico sotterrato» avviata più grazie alla pressione mediatica che alle reali , concrete e giuste indicazioni, nella zona del Casertano. «Terreni sui quali oggi ci sono le bufale e su cui invece non cresce più l'erba», raccontava il Casalese. Oggi è morto non certo un eroe, non certo un pentito (se non – e limitatamente nel tempo – dal punto di vista giuridico). È morto un uomo opaco, dai mille segreti e dai mille interessi. Che avrebbe potuto dire prima e non l'ha fatto per ovvi motivi di interesse, che sarebbe allo stesso tempo dovuto essere ascoltato molto prima, che ha portato nella tomba, questa è praticamente una certezza, molti più segreti di quanti non ne abbia, platealmente, confessati.

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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