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Senza divise e turni massacranti, l’inferno dei pompieri durante i roghi in Campania

Saltano i pasti per coprire i turni in una cronica carenza di organico, lavano le divise sporche di sudore e cenere tossica in una vasca d’acqua con detersivo perché la lavanderia ha tempi lunghi di consegna, i vigili del fuoco tra Napoli e Caserta stremati dalla mole di lavoro e dagli incendiari senza scrupoli. Leonetti (Conapo): «In questi giorni drammatici siamo sommersi dalle chiamate d’intervento, cerchiamo di capire, filtrare le priorità, e questo significa farsi carico di una grande responsabilità. Alla fine il lavoro ‘sporco’ a difesa dei cittadini lo facciamo noi». Lacagnina (Usb): «Tante pacche sulle spalle, siamo servitori dello Stato senza se e senza ma. Eppure lo Stato non ci riconosce come categoria usurante».
A cura di Claudia Procentese
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Carenze, stress, impotenza. «L’emergenza è drammatica. In queste ore, critiche per la zona vesuviana, le squadre di Caserta sono chiamate in appoggio e noi andiamo in sofferenza, siamo sfiancati». Il racconto dal fronte inizia dall’ordinarietà di un quotidiano straordinario. È la voce dei vigili del fuoco, Gianfranco Leonetti è uno di loro. «La settimana scorsa ho scoperto un uomo che in campagna incendiava le cassette di plastica e polistirolo vicino al terreno dove il giorno prima aveva piantato le insalate. Su simili comportamenti ormai non è più tollerabile ignoranza, è un reato e va punito severamente». Terra dei fuochi, non solo traffico illecito dei rifiuti, interramenti clandestini, ma anche piccoli e radicati fenomeni di inquinamento ambientale. Caldo torrido, siccità, ma spesso le temperature roventi non c’entrano con gli incendi. La scena è sempre la stessa: le fiamme lambiscono le carreggiate stradali e lo scirocco solleva dense colonne di fumo nero visibili anche da lontano.

Gianfranco lavora qui dal 2006, quando si era ancora in piena emergenza immondizia. Fa il pompiere, in una provincia casertana ammorbata dai roghi tossici, ed è in un raro momento di riposo che condivide la sua storia. «Dieci anni fa avevo maturato l’idea di andar via, ero avvilito, non potevo far vivere la mia famiglia in un luogo dove ci si era abituati ai cumuli di spazzatura per strada – ricorda -. Poi, rientrata la crisi, l’istinto è stato quello di restare e cercare di cambiare le cose». Ora è segretario provinciale del Conapo, sindacato autonomo dei vigili del fuoco, «l’unico – ci tiene a precisare – a difesa del personale in divisa, operativo», che da tempo fa denunce sullo stress psico-fisico a cui sono sottoposti i pompieri tra Napoli e Caserta, in quella Terra dei fuochi che conta 90 Comuni, 56 nella provincia di Napoli e 34 nella provincia di Caserta.

L’ultima denuncia è di qualche giorno fa. «Spesso le nostre squadre non riescono nemmeno a consumare il pasto, non esiste la possibilità di avvicendamenti a causa della pesante carenza di organico – spiega -. Abbiamo chiesto, inoltre, in queste ore una più frequente somministrazione di integratori salini agli uomini, stremati da fatica e caldo, che rischiano, per mole di lavoro ed età media alta, lo shock da ipertermia, il famoso “colpo di calore”. Non basta bere, dopo un’estate così ti distruggi fisicamente». I vigili del fuoco chiedono più risorse, più tutela, sono preoccupati. «In tempo di pace operiamo ai limiti di uomini ed attrezzature, ma adesso in tempi di guerra, con una grave crisi in atto, ogni giorno andiamo ad immolarci, siamo vittime sacrificali di un sistema allo stremo» è lo sfogo amareggiato di un caposquadra impegnato ventotto ore nello spegnimento del vasto incendio a Bellona all’interno del sito di stoccaggio rifiuti dell’Ilside, scoppiato martedì scorso. Ha la voce rauca e racconta di «un rogo domato in quattro giorni, un inferno in terra».

L’emergenza estiva – Ma che tipo di estate è quella 2017? «L’anno scorso i primi incendi di sterpaglie, dove puoi trovarci di tutto, dalla carcassa di frigorifero ai materiali di risulta – dice Leonetti -, sono cominciati intorno al 10 luglio. Più o meno dal 15 luglio al 15 settembre 2016 ci sono stati un migliaio di interventi. Quest’anno, invece, da metà maggio ad oggi siamo arrivati a 2.500 solo nella provincia di Caserta». Il termometro nel primo pomeriggio segnala una temperatura vicina ai 40 gradi, sirene ed autobotti sono pronte ad uscire dalla caserma sotto un sole cocente. La chiamata, la partenza, i gesti rapidi e collaudati, all’unisono. Sono 280 i pompieri nella provincia di Caserta, divisi tra la sede centrale e i cinque distaccamenti (Teano, Mondragone, Marcianise, Aversa e Piedimonte Matese), distribuiti su quattro turni, in servizio 24 ore su 24. Ogni turno di servizio è di 12 ore e può fare affidamento ad una cinquantina di operatori dislocati su tutto il territorio dei 104 Comuni, sei per ogni distaccamento e sede centrale, una dozzina per il distaccamento di Aversa perché di categoria superiore. «Anche l’incendio di un solo copertone è un rogo tossico – sottolinea Gianfranco -. D’estate aumentano perché sterpaglie e rovi seccano per le temperature alte, ma l’incendio è quasi sempre di natura dolosa. E, alla fine, il lavoro sporco lo facciamo noi, con poche unità e con mezzi poco adatti perché, ad esempio, avremmo bisogno di fuoristrada per muoverci meglio in ambienti rurali. Le chiamate in questi giorni sono tantissime, cerchiamo di capire, filtrare le priorità, e questo significa farsi carico di una grande responsabilità».

Il “caso” uniformi – “Virtus mea ignem opprimit”, la mia virtù è domare il fuoco: questo il motto del Comando casertano che si legge a caratteri cubitali al suo ingresso. Virtù fatta di sacrifici e spirito di abnegazione. «Spesso mal ripagati – si lamenta Gianfranco -. Ci arrangiamo anche nel lavaggio delle divise». Storia paradossale, quella delle uniformi da intervento. Si chiamano Dpi, dispositivi di protezione individuale. A parte l’autorespiratore, ci sono pantalone, maglietta, giubbino e la giacca detta nomex, ignifughi e antistrappo. Questi ultimi, utilizzati dai vigili del fuoco durante l’intervento, non possono essere portati a casa al fine di evitare contaminazione con gli indumenti civili e di preservare, di conseguenza, anche la salute dei familiari. Vengono, perciò, riposti nelle sedi di servizio, in appositi armadietti separati, e la loro pulizia è a carico dell’amministrazione.

«Ma dobbiamo fare i conti con la spending review che mette a repentaglio il servizio di soccorso tecnico urgente, insieme alla nostra salute – rimarca l’esponente Conapo -. Ognuno di noi ha in dotazione un doppio Dpi, ma può bastare con la mole di operazioni soprattutto d’estate e in un territorio dove i roghi tossici sono all’ordine del giorno e i residui nocivi della combustione si posano sui nostri indumenti? L’iter prevede che, a fine intervento, gli indumenti vengano messi in busta sigillata e portati in lavanderia per essere bonificati. Quindi si dovrebbe consegnare il capo sporco e ritirare quello pulito. Questo in teoria. Purtroppo in pratica notevoli sono i ritardi nella consegna da parte della ditta che gestisce il servizio di lavanderia a livello regionale: la restituzione non avviene mai prima di una settimana, l’attesa arriva fino a quindici giorni. E può capitare che il capo ci venga restituito rovinato o strappato, compromettendo in tal modo le caratteristiche essenziali per continuare ad offrire la protezione prevista». In ballo la sicurezza, ma anche l’igiene e il decoro. «Siamo costretti a mettere le divise a bagno durante la notte in una vasca con un po’ di detersivo – racconta Gianfranco -. Possiamo mai riporre in un armadietto una divisa che puzza di sudore? D’estate in un turno diurno io arrivo a cambiarmi cinque volte polo e calzini».

Squadre ridotte per una categoria non riconosciuta usurante – «In Campania ogni giorno è un bollettino di guerra, i vigili del fuoco devono spegnere centinaia di roghi, con poche risorse cercano di fare del loro meglio». A rincarare la dose è Calogero Lacagnina, coordinatore regionale Campania dell’Unione sindacale di base. «Tutti i Comandi provinciali sono al collasso – aggiunge -, stremati e con turni massacranti, poiché non si autorizza il richiamo di personale fresco ma si preferisce fargli prolungare il turno smontante. Si lavora spesso con squadre ridotte, si lavora senza la necessaria sosta per rifocillarsi e recuperare le forze». Nei mesi estivi vanno in fumo non solo le discariche abusive, ma anche la vegetazione, come è successo sul Vesuvio. Nessun territorio è al sicuro. Dal nolano al giuglianese, alla zona costiera. «L’accorpamento del Corpo forestale dello Stato non ha portato grossi benefici in termini di competenze – sottolinea -, anzi del tutto inadeguato è il numero di personale in organico presso i Comandi per l’attività di contrasto alla lotta antincendio boschivo. I roghi tossici? Ormai sappiamo luoghi e modus operandi dei killer del fuoco, eppure, ad esempio, le ecoballe di Taverna del Re continuano a prendere fuoco e sono i pompieri a scendere in campo sempre e per primi». Ultima novità: i quattro i presìdi interforze che saranno allestiti nell’area tra Napoli nord e la provincia di Caserta.

«Sono presìdi di prossimità – illustra Lacagnina -, due per la provincia di Napoli, a Giugliano, Massa di Somma, e due per Caserta, a Marcianise e Mondragone. Si tratta di pompieri, che si attiveranno dal prossimo settembre fino a dicembre 2018, dalle 8 alle 20, pronti ad intervenire sui roghi di rifiuti come accade per gli incendi boschivi per garantire, nei punti più sensibili, tempi rapidi di spegnimento dei focolai. Presìdi formati da tre squadre composte da tre vigili, ma se l’incendio diventa più grave, comunque si dovrà chiamare la squadra ordinaria». Che è in affanno. Giunta sul posto, niente libretti d’istruzione, garanzie o programmi prestabiliti. «Tutto è affidato alla formazione, all’esperienza, al talento estemporaneo nel valutare i rischi, arginarli, evitarli – evidenzia Lacagnina -, nel mettere al sicuro la vita umana e soggiogare il fuoco. Spesso ci chiamano angeli o eroi, tante pacche sulle spalle, siamo servitori dello Stato senza se e senza ma. Eppure la beffa è che lo Stato non riconosce nemmeno la nostra categoria, il nostro lavoro, come altamente usurante».

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