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Terra mia, bruciata e avvelenata nel silenzio generale

Il campo rom tra Afragola e Casalnuovo, il capannone di Casavatore, il rogo gigantesco sul Parco del Vesuvio. Da tre giorni respiriamo veleni nel silenzio generale. Nessuno si pone il problema di questa città i cui abitanti vivono praticamente in una polveriera?
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I fumi dell'incendio sul Vesuvio del 20 luglio 2016

Non ci sono marce, non ci sono striscioni e non c'è rabbia davanti alle telecamere, per questo. La scarica di adrenalina elettorale è stata consumata a fine giugno, dunque quel che sta accadendo ora tra Napoli Nord e il Vesuviano, non fa impressione.
Dovreste guardarla come l'ho vista io, dal sesto piano di un palazzo, affacciandomi una mattina da Castel dell'Ovo, fiutando nell'aria la plastica fusa e allarmandomi, come quando sta prendendo fuoco una spina elettrica a casa. È tutto nell'aria, lo stiamo respirando noi. Stiamo respirando i miasmi dell'incendio al campo rom di Afragola, due passi da Casalnuovo, tre dall'aeroporto di Capodichino; stiamo respirando i veleni di Casavatore dove la plastica cinese ieri ha preso fuoco e chissà come, chissà perché, fatto sta che quei fumi sono arrivati fino a Napoli città, complice un venticello caldo e pesante. Le particelle di polveri sottili sospese nell'aria oggi dopo l'incendio doloso sul Vesuvio davano l'idea d'un fallout atomico o ci regalavano l'esclusiva finestra su una ipotesi: sarà così quando erutterà o sarà pure peggio, il fumo? Una lunga scia di bruciato e preoccupazioni. E che pensi, tu? La Terra dei Fuochi, la diossina, i tumori. E questo è, non si sfugge, non c'è niente da dire, niente da analizzare, prova a dirmi che è tutto a posto che i fumi si disperdono, che non accadrà niente, mentre poi il puzzo avvolge strade, copre le auto come polvere nucleare, ammorba l'olfatto e ti rende l'estate non solo afosa ma anche avvelenata e invivibile.

Nicoletta Romano, la giovane vicesindaco di Casalnuovo s'è affacciata al campo rom di Afragola che bruciava fino a qualche ora fa: «È una scena surreale, è come essere finiti in una foto bianco e nero, è tutto bruciato e cenere». Intanto sono arrivati i militari nella zona Nord di Napoli. Per cosa? Fermeranno il vento con le mani? Prenderanno a schiaffi gli idrocarburi policiclici, i monossidi e le polveri sottili?

È qualcosa di più grave, di più serio, di più preoccupante, se in tre giorni tre roghi avvelenano Napoli e il suo hinterland e nessuno ritiene di dover allarmarsi, nessuno qui in città si pone il problema del fatto che noi si viva circondati in una polveriera, pronti a esplodere e bruciarsi la gola. È il 20 di luglio, non oso nemmeno immaginare di questo passo l'estate napoletana cosa sarà. Tocca solo sperare che non ce ne siano altri. Tocca sperare (o pregare) già. Perché gli uomini non solo non hanno avuto voglia di prevenire, non hanno nemmeno voglia di provvedere.

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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