190 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito

Tommaso d’Amalfi detto Masaniello: storia di un rivoluzionario e della sua morte

Tommaso D’Amalfi detto Masaniello è parte della storia di Napoli e del suo popolo: a distanza di 370 anni dalla celebre rivolta che capeggiò e che determinò la sua orribile morte la città ne ricorda la storia e le gesta.
A cura di Redazione Napoli
190 CONDIVISIONI
Immagine

«Masaniello è cresciuto,  Masaniello è tornato…» citato e cantato da Pino Daniele in "Je so pazzo", citato ogni qual volta ci si vuol riferire all'aizzatore delle folle, al "capuzziello" come si dice a Napoli, a colui che guida il popolo e raccoglie il suo malcontento, a colui che sta dalla parte della povera gente, a colui che si fa portavoce di chi sta dall'altra parte della barricata. Non ha mai portato una corona sul suo capo ma la folla lo ha osannato e ripudiato al pari degli altri regnanti, ha fatto la storia senza averla mai studiata, è passato dall'altare alla polvere, sfociando nel delirio del potere demagogico. Ma chi è stato davvero Masaniello per Napoli e per i napoletani? e soprattutto chi conosce davvero la sua storia? A distanza di 370 anni dalla sua celebre rivolta, tutto e niente è cambiato nel capoluogo partenopeo, ma andiamo con ordine.

Tommaso d'Amalfi, meglio noto come Masaniello, nacque il 29 Giugno 1620 a Napoli, in vico Rotto al Mercato, da Francesco D'Amalfi e da Antonia Gargani, visse solo 27 anni, morendo il 16 luglio 1647 decapitato nella Chiesa del Carmine. Pochi anni di vita ma intensi per quello scugnizzo di strada corto e mal incavato, che aiutava il papà al banco del pesce, per quel rivoluzionario  dall'aria furba che aizzava le folle, che è passato alla storia e ha fatto la storia.

Non aveva studiato sui libri Masaniello, la sua scuola fu quella della strada, della gente e soprattutto quella del carcere. Eh sì lo spirito rivoluzionario del giovane emerse sin da subito, finendo dietro le sbarre per essersi opposto ai sequestri di pesce. Masaniello, affabulatore nato, non tardò  a stringere proficue "amicizie", tra queste ci fu il decisivo incontro con don Giulio Genoino, eletto del popolo destituito perché fastidioso e fervente nel difendere la plebe contro la nobiltà, fattosi prete a più di 70 anni perché stanco di entrare e uscire dalle carceri e il quale, con la sua cultura, affascinò Masaniello e gli aprì gli occhi sullo stato di corruzione che soffocava la popolazione.

Solleticato dalle idee di Genoino, una volta libero Masaniello decise di mettere in pratica le teorie del suo amico e mentore, in una Napoli  esasperata per l’eccessivo carico di tasse applicate dal viceré Rodrigo Ponce de Leòn che  combattendo guerre sempre più dispendiose, esigeva da Napoli esosi balzelli. I motori della rivoluzione, iniziarono a scaldarsi, il 30 giugno quando Masaniello e più di duecento lazzari di strada con un tamburo e vestiti di stracci, urlano “Mora lo mal governo, viva ‘o Rre”, oltre a vari altri gridi contro le gabelle e le soverchierie. Giunti sotto Palazzo Reale ai pezzenti non viene vietato di protestare, probabilmente per ordine dello stesso viceré che voleva evitare pericolose tensioni.

7 luglio 1647: la Rivoluzione di Masaniello

I tempi ormai sono maturi perchè la rivoluzione scoppi ma come sempre mai prima di un accadimento scatenante. E la goccia che fece traboccare il vaso fu l’ulteriore aumento del prezzo della frutta fresca, popolo e commercianti erano, è proprio il caso di dirlo, alla frutta. Il 7 luglio del 1647 la rivolta scoppiò in tutta la sua violenza, stavolta gli scugnizzi sono circa trecento ed armati di canne, stanno dietro Sant’Eligio, ad essi si aggiungono contadini, pescatori e commercianti che davanti alla bottega per la riscossione della gabella manifestano l’intenzione di non pagare.

Masaniello con il cugino Maso procede alla presa della reggia, all'apertura delle carceri e appicca il fuoco sui registri delle imposte. Nel corso della rivolta, molti palazzi nobiliari furono dati alle fiamme e fu quindi promulgata una costituzione scritta da Giulio Genoino e Masaniello fu nominato Capitano generale del fedelissimo popolo, al viceré non rimase altra scelta che la fuga dalla città.

La morte di Masaniello

Troppa popolarità, tutta insieme, troppo presto, Masaniello si trova da un momento all'altro alla guida di un popolo, quello napoletano, che sappiano bene non è dolce di sale, come recita l'antico detto popolare. Troppa pressione, troppe responsabilità e troppa poca esperienza per un giovane ventenne che non regge il peso di tanto potere. Il leader del popolo inizia a dare segni di squilibrio mentale, ordinò provvedimenti ed esecuzioni arbitrarie scontentando il popolo e i benestanti. Nove giorni, tanto durò la sua  sua esperienza rivoluzionaria che si concluse in modo tragico. Il  16 luglio Masaniello venne decapitato nella Chiesa del Carmine da alcuni insorti che, brandendo la sua testa in cima ad una picca, ne trascinarono il corpo per l’intera città.

Solo il giorno dopo un nuovo aumento del pane determina una presa di coscienza da parte della gente che va a recuperarne il corpo, lo riveste con la divisa di capitano e gli dà sepoltura solenne. Corsi e ricorsi storici, storia di facili entuasiasmi e di altrettanto repentini cambi di rotta, storia di un popolo esasperato, oggi come allora, sui cui è facile fare presa con le promesse, il più delle volte mai mentenute.

190 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views