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Opinioni

Vincenzo e i suoi fratelli. De Luca, il referendum e la Regione Campania

Dai comizi veementi e scorretti del più importante esponente politico della Campania al fronte che lo contrasta: quali sono le differenze? E quali, invece, sono le ipocrisie? Storia di Vincenzo De Luca e del referendum costituzionale in Campania.
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vincenzo de luca

A chi piace sentir parlare un uomo politico così? «Vedi come cazzo devi fare, porta la gente a votare». Vincenzo De Luca è l'uomo più potente della Campania, possiamo dirlo a ragion veduta per almeno due motivi: è l'uomo più vicino al premier Matteo Renzi; è colui che decide dei fondi in sanità, edilizia, agricoltura, industria. Ha ‘la matta’ in mano, De Luca. E lo sa. Domande d’un lettore operaio: ci piace sentirlo parlare così? No. Sapevamo da decenni che si esprimeva così? Assolutamente sì. E ancora: chi lo accusa di politiche clientelari a scopo elettorale chi è e che fa? Quest’ultima è una questione che val la pena di approfondire.

A costo di sembrare empatico nei confronti dell'attuale governatore della Campania (non è così, ho qualche anno di articoli che dimostrano il contrario, meglio precisarlo visti i manganelli mediatici che si agitano sui social network in attesa della vittima di turno) mi pongo la questione: in Campania chi è ‘il contro’ di De Luca e perché lo è.

Antefatto. La redazione centrale di Fanpage.it a Napoli si trova di fronte la sede della Regione Campania: a chi scrive non è sfuggito il continuo via-vai incessante di personaggi della politica locale diretti negli uffici del Palazzo. Quella fila in attesa d’incontro col re taumaturgo negli ultimi tempi si è allungata in maniera incredibile. In un’altra fila, doppia, su via Santa Lucia (tanto i vigili urbani non ci sono!) si possono vedere parcheggiate le auto di servizio provenienti dai più disparati comuni. Dal profondo sud del Cilento, dai Monti Lattari, dall'Irpinia, dal Sannio, dall'alto Casertano. Ognuno chiede qualcosa. Non si scende (o sale) a Napoli per parlare del titolo V della Costituzione italiana. Ma per i soldi della festa dei nocciuoli, per le case allagate dall'alluvione di tre anni fa. Perché ci sono le elezioni comunali e «qualcosa dobbiamo fare, altrimenti qui perdiamo». Per le case popolari incompiute, per le bonifiche mai partite, per il molo turistico costruito con il Lego che una mareggiata ha spazzato via.

Chi scrive è stato testimone, durante la nottata elettorale del 31 maggio 2015 che ha portato ’O sceriffo alla guida di Palazzo Santa Lucia, dei discorsi elettrizzati ai suoi fedelissimi in un bar di fronte la sede della giunta regionale, del senatore Vincenzo D’Anna, re dei centri d'analisi in Campania, il cui sostegno risultò decisivo nell’elezione dell’ex sindaco di Salerno. È questo lo scenario di riferimento ed è giusto tenerlo ben chiaro. Senza ipocrisie.

Amato Lamberti, ambientalista, studioso anticamorra, sociologo e politico napoletano scomparso troppo in fretta, della sua esperienza di Presidente della Provincia di Napoli spiegò che si presentavano nel suo ufficio esponenti della politica «simili a scoiattoli». Perché scoiattoli, gli fu chiesto. «Perché arrivavano e tentavano di rosicchiare quel che potevano». È ragionevole pensare che anche oggi, al terzo piano di Palazzo Santa Lucia, accedano ‘legioni’ di scoiattoli, tutti intenzionati a ottenere qualcosa, più insistenti di quelli in Hyde Park a Londra?

De Luca nella prima fase della sua legislatura ha tentato di incontrare ognuno degli esponenti di questa corte in attesa dei miracoli. Di gestire come ha sempre fatto. Poi ha dovuto mettere un argine. E poi un altro filtro ancora (dopo il caos di Carmelo Mastursi e delle telefonate intercettate). Oggi come si dà la linea a questa gente? Con le telefonate? Forse non conoscete la storica avversione del presidente della Regione Campania per la linea 4G e affini (niente sms, Whatsapp non sa nemmeno cosa significhi). Forse coi comizi? E dove, quando, soprattutto chi li ascolta? Il Pd Campano non ha soldi per organizzare nemmeno una serata di scopone scientifico, a stento riesce ad affittare un minibus per la campagna referendaria. I vertici Dem a Napoli e provincia, per non dire nel resto della regione, hanno carisma pari a zero. Sono i leader delle città che, singolarmente, al momento opportuno, stringono accordi più o meno larghi, più o meno decenti e smuovono qualcosa con le candidature locali. Se non li incontra e se non li contatta telefonicamente per evitare eccessive pressioni e fraintendimenti, dunque, come avrebbe dovuto, dunque, far campagna elettorale per il Sì al referendum costituzionale del 4 dicembre Vincenzo De Luca? Proponendo ai sindaci una lettura del professor Gustavo Zagrebelsky? O forse promettendo – come ha sempre fatto – la qualunque?

«Amputate la gamba ad un uomo e sentirà ancora il solletico» sosteneva il dottor Hannibal Lecter: polemiche giornalistiche, elenchi di impresentabili, paginate di giornali non sono servite a nulla. In Campania è l'atto del voto che risulta già macchiato, forzato, contenente sempre e comunque al suo interno la domanda: «Ma cosa ne ricavo?». Gli allarmi di commissioni parlamentari, di Direzioni distrettuali antimafia, di Procura, di intellettuali e dei giornalisti – chi scrive lavora per il giornale ha mostrato all’Italia la storiaccia delle primarie Pd per il sindaco di Napoli nel marzo 2016 – sono passati in cavalleria. I cavalli, però, devono trottare. I cavalli siamo noi. Elettori e candidati.

Ritornando al quesito principale: com'è composto il fronte anti-De Luca in Campania che oggi si scandalizza per le sue fritture di pesce e yacht proposte (ironicamente) in favore del Sì? È in parte costituito da coloro i quali, destra, centrodestra, centro, centrosinistra e sinistra, hanno fatto parte in anni passati di altri banchetti, di altre spartizioni, di altre amministrazioni dei territori. Anche in quei casi il voto era organizzato militarmente. Con meno sbruffoneria dell’ex sindaco salernitano? Forse sì (e non ci giurerei). Ma chi scorda i cinesi di Napoli, chi scorda i signori delle preferenze nei quartieri a Est del capoluogo, chi i potentati irpini, sanniti, cilentani d’un tempo. I cavalli trottano. Hanno semplicemente cambiato cocchiere. Molti di quelli che oggi dicono No al referendum in Campania non fanno forse calcoli sul possibile tilt del governo Renzi, sulla debolezza che determinerebbe alla Regione e dunque sull’apertura a possibile rimpasto? C’è davvero qualcuno che si stupisce se parlo di un fronte del No interessato non alla Costituzione ma alle conseguenze politiche della sconfitta di Renzi & co. ?

Sì, De Luca parla come parla e sbaglia, non è guida morale della regione, non è capace di moral suasion. Ma chi si trova di fronte? Gli è stato chiesto questo ruolo di leader morale ad uso e consumo dei media, quella sera di maggio del 2015? Il linguaggio politico e la prossemica di colui che l’ex direttore del quotidiano La Città di Salerno Stefano Tamburini definiva, con un appellativo durissimo, “Il capo dei capi”, è una novità politica? La risposta è scontata e non assolutoria. Per nessuno.

Infine: c’è, in effetti, un fronte anti-deluchiano, che mai si è prestato a compromessi, da quando ’O sceriffo mise piede per la prima volta al Municipio di Salerno. E piange il cuore vedere questa gente prodursi in accozzaglie referendarie d’ogni tipo pur di ribadire il no referendario che è in realtà un no al governatore-padre padrone della Campania e nulla più.

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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