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Opinioni

Da Scugnizzi a bambini della Paranza fino a Mare Fuori: infanzia e camorra in film e serie su Napoli

Trent’anni fa nei cinema arrivava “Scugnizzi” di Nanni Loy, poi “La Paranza dei bambini” di Roberto Saviano. E oggi “Mare Fuori”. In questo lasso di tempo è cambiato il modo in cui raccontiamo l’infanzia negata di Napoli, preda della camorra e al tempo stesso è cambiato il modo di reclutamento dei clan, sempre più diretto. Ma la speranza che c’era nelle storie degli Scugnizzi di Nisida non c’è nei ragazzini sugli scooter della Paranza. È giusto raccontare così? La risposta è più sofferta e difficile di quel che sembra.
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I protagonisti del film Scugnizzi
I protagonisti del film Scugnizzi

Nel 1989, Nanni Loy girava "Scugnizzi". La sceneggiatura di Elvio Porta e le struggenti canzoni in dialetto di Claudio Mattone aggiungevano poesia alle storie sgarrupate dei ragazzini finiti nel carcere minorile di Nisida a Napoli. Il film segnò un nuovo modo di raccontare le vite dei giovani di strada; il neologismo "scugnizzi" divenne altro, una responsabilità collettiva più che un appellativo assegnato ad un ragazzo senza regole ma dal grande coraggio, capace d'affrontare le avversità della vita.
Nell'anno 2019 esce nelle sale "La paranza dei bambini" di Claudio Giovannesi, ispirato all'omonimo romanzo di Roberto Saviano che già in Gomorra romanzo/film/serie tv aveva affrontato la questione. Un anno, dopo, nel  settembre 2020, la prima puntata di Mare Fuori: giovani napoletani scontano la loro pena all'interno di un Ipm, il carcere minorile, ispirato a quello di Nisida. Col mare fuori

Da ‘muschilli‘ a ‘piscetielli di paranza', dunque: in oltre trent'anni è completamente cambiato il modo di raccontare l'infanzia e l'adolescenza a rischio criminalità, al tempo stesso è cambiata la modalità di reclutamento delle organizzazioni criminali. La Paranza dei bambini si apre con immagini prese pari pari dalla realtà recente: il furto, ormai diventato un classico del dicembre napoletano, dell'albero di Natale in Galleria Umberto I e poi i "cippi" di Sant'Antonio a gennaio, ovvero i roghi di legname in alcune zone del centro. Tutte vicende documentate ampiamente dai giornali con testi, foto e video nel corso degli anni. È la tipica narrazione savianea che affianca i due piani, il reale e la fiction, mescolandoli.

Un tempo ciò rappresentava un problema, ma oggi è diverso, non c'è più una "tara etica" intorno a questa tecnica: la realtà e il fittizio ormai si confondono l'uno nell'altro, usando come calderone di contenimento di questo composto, un tempo eterogeneo, i social network, capaci di rompere il legame fra i due livelli, fra la notizia e la narrazione.

E così accade l'imponderabile: qualche mese fa, quando La Paranza era in corso di lavorazione, furono girate scene di un blitz di polizia all'interno di un ristorante, nel corso di un pranzo matrimoniale. Alcuni secondi, ripresi di nascosto cellulare (non si sa se davvero filmati ‘rubati' o frutto di una strategia di guerrilla marketing) furono diffusi su Facebook e molti pensarono ad un fatto vero, ad un vero blitz anticamorra. Era plausibile, no? Realtà e realtà possibile, dunque.

I protagonisti del film "La paranza dei Bambini"
I protagonisti del film "La paranza dei Bambini"

Nel contenitore che spinge per essere afilmico s'agita un significato che lascia un'inquietudine fastidiosa al termine della visione. Mi era già accaduto ingurgitando puntate su puntate di Gomorra – la Serie, cui è sempre stata imputata una narrazione nera, senza vie d'uscita, polarizzata al tal punto da diventare distopica, senza speranza.

Scrivere così è una scelta o un obbligo? È così che occorre fare per essere efficaci? Prendiamo uno dei capolavori del genere, "La città di Dio" (Cidade de Deus) un film brasiliano che pure ha i suoi 17 anni, tratto dall'omonimo romanzo dello scrittore brasiliano Paulo Lins e ambientato in una una favela di Rio de Janeiro negli anni Settanta. Poi prendiamo Scugnizzi e la Napoli degli anni Ottanta. Badate bene, parliamo di periodi in cui, a Rio come a Napoli, i morti a terra erano decine e le faide non erano guerriglie di quartiere, ma conflitti totali. In entrambe le narrazioni, dagli scugnizzi ai meniños de rua c'è un filo di speranza. Dov'è quella della Paranza? Altra annotazione: in Scugnizzi così come nella Città di Dio c'è l'elemento di recupero sociale aiutato dall'arte. In uno è il teatro, nell'altro è la fotografia. La passione in qualcosa come fuga da un finale già scritto.

Decidere di non fare altrettanto nella Paranza dei bambini, scopre il fianco alla polemica ben nota e strumentale sintetizzata nella frase: "Saviano & co. hanno interesse a distorcere e dipingere tutto nero perché così la storia è più ingaggiante". Ma è un assunto valido, quest'ultimo?
Analizziamo i fatti recenti: La Paranza è ispirata parzialmente a vita, ascesa e declino dei baby boss napoletani Lino ed Emanuele Sibillo, uno in galera, l'altro ammazzato. Proprio quest'ultimo, quando era nel carcere minorile, partecipò ad un progetto di reinserimento realizzando articoli e interviste video. L'attività non servì a fargli cambiare vita: qualcuno fuori dal carcere lo aspettava per incoronarlo boss bambino e dargli il comando di una famiglia criminale, segnando il suo destino da carnefice prima e vittima poi. Dunque a leggere la realtà la ragione è dalla parte di chi dice che imboccato quel viale non c'è via di scampo.

D'altro canto in Scugnizzi lo scalcagnato attore Fortunato Assante (Leo Gullotta, magistrale) disperatamente cerca di mettere in piedi un musical coi ragazzi del minorile per strapparne almeno uno al suo destino. Ci riuscirà? No, non con tutti, non quelli che avrebbe voluto salvare subito. E nella Città di Dio è una macchina fotografica e la faccia tosta a salvare il giovane Buscapè. Chi salva chi, nella Paranza? Nessuno. Non c'è fiaba, non c'è eroe proppiano, c'è musica trap, uno scooter che corre veloce con una vendetta negli occhi di chi lo guida, a rinnovare il ciclo di questa formazione criminale senza corpi intermedi ad ostacolarla. O quanto meno ad indicare un destino diverso. Nel racconto vige un clima di sfiducia complessiva nel sistema (quello legale, non ‘o sistema) che si adagia su una certa mentalità napoletana, sempre più avvezza a darsi sofferenza e indossare il cilicio.

Veniamo all'ultimo: Mare Fuori: partito in sordina, è diventato «la storia teen che chiede la piattaforma» usando una battuta della serie tv Boris. Molti giornali l'hanno scoperta tardi ma la serie tv era già esplosa, parallela all'esplosione di TikTok dove clip, audio e modi di dire sono diventati d'uso comune. E la narrazione qui si concentra non sul come si arriva in carcere da ragazzini ma sul come vive chi ha già una pena da scontare. Sofferenza ma anche dinamica sentimentale da scuola superiore, tensione sentimentale e sessuale tra adolescenti, gruppi e gruppetti. La domanda è sempre la stessa: quanto si discosta dalla realtà?

Mare Fuori, la Paranza, sono aderenti o no alla realtà? E nella realtà dei bambini di Napoli è peggio o è meglio? Il finale irrisolto della Paranza è la Domanda fondamentale sulla vita, su Napoli e tutto quanto. Fa un po' rabbia: non è così eppure è così. Va contestato eppure non ci sono tanti elementi per sostenere tesi opposte. Quel che resta è, appunto, la domanda. È una fiammella che non può e non deve spegnersi: se un film aiuta ad alimentarla va bene, maledettamente, amaramente bene così.

I protagonisti del film La città di Dio
I protagonisti del film La città di Dio
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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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