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Soprannomi di Camorra, quando il “contronome” è il destino di un boss

I soprannomi sono un tratto distintivo dei camorristi. Si va da quelli derivanti da caratteristiche fisiche, come il colore dei capelli o qualche segno particolare, fino a quelli derivanti da comportamenti. E ci sono anche quelli inspiegabili, come il “contronome” di un boss del clan Gionta: per tutti è “Michele batti le manine”.
A cura di Nico Falco
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Una scena del film Il Camorrista
Una scena del film Il Camorrista

Celebrativi, ironici, terrificanti e a volte ridicoli. Altre volte, davvero inspiegabili. Nel sottobosco della camorra, e della criminalità in genere, esiste una vera anagrafe alternativa dove nomi e cognomi spariscono e vengono sostituiti dai soprannomi. I “contronomi” prendono il posto di quelli scritti sui documenti e diventano anche un patronimico, che si passa di padre in figlio. Sono univoci, servono a scavalcare le omonimie e a individuare senza possibilità di errore, vengono affibbiati per via dei comportamenti, sulla base di difetti fisici o in seguito ad avvenimenti particolarmente significativi che ne hanno segnato la vita. Così come era successo con Ciro Di Marzio, il camorrista della serie televisiva Gomorra, che per tutti era l'Immortale: inizialmente si pensava che si fosse meritato quel soprannome per la sua abilità a sfuggire ad agguati e situazioni pericolose, ma nel corso della trama è stato svelato che invece deriva dal fatto che, da piccolo, è stato l'unico superstite del crollo della sua casa per il terremoto.

Vita privata

Paolo Di Mauro, storico boss dei Contini deceduto nel novembre 2018, era chiamato "Paoluccio l'infermiere". Il soprannome gli veniva dal fatto che, ufficialmente, era un operatore sanitario del San Giovanni Bosco, l'ospedale più vicino a Secondigliano e al Rione Amicizia: "l'ospedale degli sparati", dove venivano portate le vittime delle faide di Scampia e Secondigliano. Per gli inquirenti Paolo Di Mauro aveva un ruolo di primo piano, gestendo una zona contesa coi Mazzarella; arrestato nel 2010 in Spagna dopo 8 anni di latitanza, era stato scarcerato per motivi di salute poco prima della sua morte.

Se sui documenti era Domenico La Montagna, il boss di Caivano, in provincia di Napoli, era per tutti "Mimmuccio l'acerrano" o "Mimì ‘o cuoco". Secondo gli inquirenti era riuscito a scalzare il gruppo di Pasquale Castaldo, "Pascale ‘o farano", ucciso in un agguato, e a prendere in mano il narcotraffico con una serie di accordi eccellenti: aveva stretti contatti coi Casalesi, si era garantito l'appoggio dei Moccia di Afragola, del gruppo di Antonio Di Buono di Acerra e quello di Marcello di Domenico del Nolano e, coi confini sicuri, stava tentando di estendersi anche su Cardito. Il soprannome gli viene dal fatto che è originario di Acerra. Fu arrestato nel marzo 2006, latitante da oltre un anno, mentre era con la moglie a cena in un ristorante di Varcaturo.

Il boss Contini, detto 'o Romano
Il boss Contini, detto ‘o Romano

Edoardo Contini, detenuto, è considerato il capo di uno dei clan più influenti di Napoli, probabilmente quello che nel tempo ha più mantenuto stabilità di fronte ai cambiamenti della camorra. Attualmente il clan, con roccaforte nel quartiere San Carlo Arena, è legato ai Rinaldi e ai Sibillo, contro i nemici comuni dei Mazzarella. A differenza degli altri gruppi criminali, il clan Contini ha basato i propri affari sul reinvestimento dei capitali illeciti e non ha mai avuto scissioni interne. Il capoclan è soprannominato "‘o Romano" perché ha vissuto per molti anni a Roma. Fu catturato nel 2007 a Casavatore, latitante da 7 anni.

Comportamenti

Gennaro Licciardi, boss dell'omonimo clan dell'Alleanza di Secondigliano, detenuto nel 1994 per setticemia, era per tutti "Gennaro ‘a scigna". Il soprannome gli era stato affibbiato da ragazzo, per la sua abilità nello scavalcare cancelli e arrampicarsi sui muri e infilarsi nelle abitazioni per rubare. Nasce sotto il profilo criminale come capozona dei Giuliano su Secondigliano, per poi fondare un clan autonomo con roccaforte la Masseria Cardone.

Raffaele Cutolo
Raffaele Cutolo

Raffaele Cutolo è il fondatore della Nco, Nuova Camorra Organizzata, nata negli anni '70 del secolo scorso e protagonista di feroci guerre negli anni '80. Fu sconfitta da una confederazione di clan, la Nuova Famiglia, che nacque proprio per contrastare la sua espansione. Cutolo era detto "Il professore" perché, tra i suoi compagni di cella, era tra i pochi che sapevano leggere e scrivere. Questo soprannome contribuì a creare intorno a lui l'aura, dai toni quasi mistici e anche auto-alimentata, che ne fa ancora oggi uno dei personaggi più interessanti del panorama camorristico. Nel film ispirato alla sua figura, "Il Camorrista" diretto da Giuseppe Tornatore, il boss interpretato da Ben Gazzara prende il nome del "Professore di Vesuviano".

Pasquale Barra è il camorrista che ha ispirato la figura di Gaetano Zarra nel libro "Il camorrista" di Giuseppe Marrazzo e nel film tratto da quell'opera. Era uno dei più fedeli luogotenenti di Cutolo, killer che per la sua ferocia era stato soprannominato "l'animale". Fu lui a uccidere il criminale Francis Turatello in carcere e a dilaniarne il corpo; si diffuse la voce che gli avesse mangiato il cuore, ma questo particolare non è mai stato confermato. Fu anche uno dei principali accusatori di Enzo Tortora; è morto scontando l'ergastolo nel carcere di Ferrara nel 2015.

Rosa Amato, narcotrafficante di Caivano, 58 anni, per tutti è "Rosetta la terrorista". Gestiva la "piazza dei carcerati" nel Parco Verde, quella i cui proventi venivano usati anche per gli stipendi ai detenuti e per pagare gli avvocati. Ereditò i traffici di droga quando uccisero il marito in un agguato e da allora si era ritagliata un proprio spazio che gestiva insieme ai figli.

Ciro Sarno, ex boss del clan omonimo di Ponticelli, era conosciuto come "il sindaco". Il soprannome gli veniva dalla disinvoltura con cui riusciva a gestire le case popolari del quartiere, costruite dopo il terremoto del 1980, che aveva sconvolto l'Irpinia e provocato gravi danni anche a Napoli. Il controllo sulle decisioni su chi dovesse occupare le case popolari creò un largo consenso, che portò il suo gruppo ad essere uno dei più influenti dell'epoca.

Anna Mazza
Anna Mazza

Anna Mazza, deceduta nel 2017 a 80 anni, era la vedova di Gennaro Moccia. Dopo l'omicidio del marito, nel 1977, secondo gli inquirenti aveva preso il comando del clan, guidandolo per più di vent'anni ed estendendo la sua influenza anche oltre i confini regionali. Sotto il suo "matriarcato", primo caso nella storia della camorra, il clan divenne egemone su Afragola e con ingerenze nella politica locale e si specializzò nel reinvestimento di capitali illeciti nel settore edile. In quel periodo bastava dire "la signora" per riferirsi a lei: era così influente e conosciuta che nominarla era superfluo.

Nunzia d'Amico, donna boss del clan fondato dai fratelli, è stata uccisa il 10 ottobre 2015 nei pressi di casa sua, nel rione Conocal di Ponticelli, periferia est di Napoli. Quell'omicidio, maturato nella lotta per l'egemonia sui traffici di stupefacenti, segnò la supremazia dei De Micco, i "bodo". Annunziata d'Amico, sorella dei boss Giuseppe e Antonio, ritenuti a capo del clan e detenuti, era detta "la passilona", soprannome che deriverebbe dalla sua passione, quando era piccola, per le olive ripiene: le "passoloni", appunto, quelle infornate e condite.

Anche Luigi Vollaro deve il suo soprannome a una particolare passione, ma in questo caso non per le olive ma per le donne: "‘O califfo" di Portici era noto perché leggenda vuole che avesse decine di amanti, che avrebbe sistemato tutte in un unico palazzo, e avesse da loro avuto 27 figli. Morto nel 2015 nel carcere di Opera, a Milano, Vollaro era stato uno dei primi oppositori di Cutolo e della Nco e il suo clan fu egemone incontrastato per decenni nell'area vesuviana.

Ciro Rinaldi, detenuto, considerato il capo del clan di San Giovanni a Teduccio che è in guerra coi Mazzarella sia nella periferia est sia nel centro di Napoli, all'anagrafe di camorra è conosciuto come "My way": un soprannome che gli viene dalla passione per Frank Sinatra, ma anche per un locale notturno molto conosciuto a Napoli negli anni ottanta.

Tornando a Scampia, un altro soprannome noto è quello di Paolo Di Lauro. Pare che l'appellativo gli fosse stato dato da un altro boss, Luigi Giuliano, in una bisca clandestina: vide cadere dalla sua tasca banconote da centomila lire e disse: "E chi è venuto, Ciruzzo il Milionario?".

E Luigi Giuliano? Il "Re di Forcella" era conosciuto come "Lovigino", soprannome che sarebbe la contrazione di "I love Gino", perché da giovane amava frequentare ragazze americane.

Caratteristiche fisiche

Giuseppe Setola.
Giuseppe Setola

Folto è anche l'elenco dei soprannomi meno fantasiosi, che derivano da caratteristiche fisiche e che non sono legati ad altre circostanze. Enzo Casillo, luogotenente di Cutolo, morto in un'autobomba nel 1983, era detto "‘o nirone" per la folta capigliatura nera. E per lo stesso motivo era detto "il corvo" Bruno Rossi, ex braccio destro di Giacomo Cavalcanti ‘o poeta e successivamente collaboratore di giustizia, che negli anni novanta, dopo l'arresto di Domenico d'Ausilio, creò un proprio gruppo a cui diede il nome di "Nuova Mala Flegrea". Nunzio de Falco era "il lupo" per la forma del viso e Giuseppe Setola, capo dell'area stragista dei Casalesi, era "‘O cecato" perché avrebbe, secondo quanto sostenuto da lui e dai suoi avvocati, dei gravi problemi di vista. Mimi d'Ausilio, ex boss della camorra di Bagnoli, detenuto, e Feliciano Mallardo, ex boss di Giugliano morto in carcere nel 2015, avevano entrambi lo stesso soprannome: "lo sfregiato", per via di una cicatrice sul volto.

Antonio De Luca Bossa, fondatore del clan attivo su Cercola e Ponticelli e in contrasto prima coi Sarno e poi coi Mazzarella-Misso, è per tutti "Tonino ‘o sicco" per la corporatura molto snella. Alfredo Sorianiello e Alfredo Vigilia, entrambi ritenuti ai vertici dei clan che portano il loro cognome e che sono attivi tra Soccavo e il Rione Traiano, nella periferia ovest di Napoli, si distinguono per il colore dei capelli: il primo è "Alfredo ‘o biondo", l'altro è "Alfredo ‘o niro".

Gaetano Marino (ucciso a Terracina) e suo fratello Gennaro Marino (detenuto), che durante la Faida di Scampia erano a capo del clan che porta il loro nome, erano conosciuti come "i McKay". Questo perché il padre Crescenzo somigliava al personaggio di Zebulon "Zeb" Macahan (interpretato da James Arness) di una vecchia serie televisiva, "Alla conquista del West".

Soprannomi inspiegabili

Infine, ci sono i soprannomi inspiegabili. Quelli che forse in origine avevano anche un significato, ma che sono cambiati nella traslazione al dialetto e che ormai sono un mistero. Come quello di Ciro Grimaldi, capoclan di Soccavo, detto "Settirò", che forse indica il Sette Oro, la più preziosa delle carte napoletane. O come il contronome di Salvatore Romano, ex boss emergente di Pianura e ora collaboratore di giustizia, che era noto come "Muoll muoll". Potrebbe derivare da qualche aneddoto particolare anche il soprannome di Pasquale Quotidiano, ex ras dei D'Ausilio, di Cavalleggeri: era conosciuto come "karibù". Nessuna ipotesi, invece, per Michele Guarro del clan Gionta di Torre Annunziata: all'anagrafe di camorra è "Batti le manine".

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