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“Zompafuosso”: nel dialetto napoletano non sono solo i pantaloni a chiamarsi così

Termine famoso ormai anche nell’italiano, “zompafuosso” designa un particolare tipo di pantaloni, troppo corti alla caviglia tanto da far sembrare chi li indossa pronto a saltare un fossato. Ma nel dialetto napoletano questa parola ha anche un’altra storia, legata alla malavita e ai rituali che testavano il coraggio dei nuovi affiliati. E ai coltelli.
A cura di Federica D'Alfonso
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Nel dialetto napoletano non è solo il pantalone troppo corto a chiamarsi "a zompafuosso"
Nel dialetto napoletano non è solo il pantalone troppo corto a chiamarsi "a zompafuosso"

Oggi è considerato un segno distintivo di stile ed eleganza, ma l’aggettivo stesso con cui il dialetto napoletano lo definisce indica che non sempre è stato apprezzato: semmai, chi portava i calzoni “a zompafuosso” era preso in giro. Il termine è ormai entrato anche nel vocabolario italiano, ed è presente in molte varianti anche in altri dialetti, ma in napoletano ha una particolarità unica: non indica soltanto un modello di pantalone, ma era anche il nome con cui si chiamava un tipo di coltello tipico dei rituali di iniziazione della camorra ottocentesca.

‘E cazune a zompafuosso: perché si chiamano così?

Non è difficile capire l’origine del curioso termine napoletano: un pantalone alla “zompafuosso” o “zompafosso” è facilmente riconoscibile perché termina sopra la caviglia, lasciando scoperta la pelle, o peggio, i calzini. Oggi è un segno distintivo di un certo tipo di stile, ma l’origine canzonatoria dell’aggettivo è chiara: chi indossa questo tipo di abbigliamento sembra si stia accingendo a scavalcare un fossato, o una pozza d’acqua, e dunque per paura di bagnarsi l’orlo dei pantaloni li ha tirati su.

La parola, ormai entrata nel gergo italiano, è un composto del verbo greco “sun podois”, che vuol dire “con i piedi” e che nelle varie forme dialettali ha dato origine al termine “zompare”, e “fosso”, il tipico solco per lo scolo delle acque che si trova molto spesso in campagna. È poco probabile che qualcuno si arrischi effettivamente a “saltare il fosso”, ma la vivacità del dialetto ha trasformato questo curioso gesto in un modo per denominare un tipo di abbigliamento decisamente poco elegante. Ma a Napoli, se a inizio Ottocento si nominava il “zompafuosso”, a molti veniva in mente un altro oggetto: ecco perché.

Il “zompafuosso”: strumento della “zumpata”

Nei numerosi studi e ricerche sugli usi e le pratiche della camorra delle origini, un posto di rilievo è riservato ai rituali e alle pratiche che contraddistinguevano la vita all’interno dell’organizzazione criminale. Fra queste tradizioni quella più rilevante era la “zumpata”, dove il “zompafuosso” trovava il suo impiego. Di cosa si trattava?

La “zompata” ha rappresentato, per tutto l’Ottocento, un passaggio obbligatorio per i nuovi affiliati alla camorra: consisteva in un vero e proprio duello, utile a misurare il coraggio e l’ardimento dei due combattenti. Era un tipo di scontro molto scenografico, fatto di mosse improvvise e di salti, da cui appunto il termine “zumpata”. Ma non si trattava di una “rissa” a mani nude: veniva utilizzato, di regola, un coltello.

Il più comune era la “sfarzeglia”, una lama di circa 40 centimetri molto più simile ad una piccola spada che ad un banale coltello. Per avere la meglio sull’avversario e dimostrare il proprio valore era indispensabile saper utilizzare con prontezza l’arma che, all’occorrenza, poteva essere anche un “zompafuosso”: un’altra tipologia di lama, meno diffusa, ma altrettanto letale.

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