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Non era un criminale, non era un martire: Genny aveva solo 17 anni

Genny Cesarano, 17enne incensurato, è morto lo scorso 6 settembre in piazza Sanità a Napoli trucidato dai proiettili della camorra. La polizia indaga per scoprire se l’assassinio sia stato un errore. Prima che le indagini stabiliscano se era coinvolto è Napoli che deve decidere: un ragazzo di 17 anni è o non è responsabile di una simile morte? Nella risposta c’è la salvezza della città.
A cura di Angela Marino
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Nella dialettica sulla camorra vige la distinzione, che ha anche peso giuridico, sullo status delle vittime. Si dividono tra innocenti e non innocenti. Le prime sono quelle uccise o ferite per errore in un agguato il cui vero obiettivo era una o più figure legate a una cosca. Le seconde, sono quelle legate ai clan e trucidate dai killer dei clan. Che vittima sarà Gennaro Cesarano, ucciso in piazza Sanità la mattina di domenica 6 settembre alle 4 e 30? Non rispondete ora. Genny è morto, direte voi, non diventerà mai adulto, che differenza fa se è successo per errore o per il disegno di qualcuno? La sua vita si è fermata all’ultima serata in piazza con gli amici. Qualcuno è sbucato da uno dei vicoli che si innestano nella piazza, il rumore sordo degli spari ha squarciato il silenzio della notte e Genny è caduto. E allora? La distinzione, in questo caso, deve essere ideale e non giuridica. Genny deve essere innocente, altrimenti la coscienza di queste città sarà come i basoli della piazza dove si è accasciato: sporca.

La condanna della colpa per un ragazzo che ha pagato con la vita qualsiasi sconsideratezza puerile, è un marchio che Napoli non si può più permettere di imprimere sui suoi figli. Dire che Genny era colpevole – senza che peraltro sulla sua fedina pesassero precedenti penali – significa ammettere e giustificare una condanna a morte. “Tanto poi diventano criminali”, si sente spesso dire, come a sottolineare che molto meglio è che non crescano mai, i ragazzi difficili. “Uno in meno”, insomma. Alla manifestazione nel rione organizzata dopo la sua morte si leggeva lo striscione: “Genny vive”. Come vivrà nella coscienza collettiva è davvero una questione decisiva per le sorti della città, molto più del contingente di poliziotti e carabinieri che il Ministro dell’Interno Angelino Alfano ha deviato su Napoli per fronteggiare l’escalation di violenza. Cinquanta uomini delle forze armate distribuiti su un territorio vastissimo, in effetti, sono una una formalità istituzionale, un gesto simbolico, quasi. Gli scettici già pensano che non cambierà nulla. Il sangue di Gennaro, però, può cambiare qualcosa. Liberarsi dalla dittatura della camorra potrebbe iniziare da qui. Decidiamolo ora, senza aspettare la fine delle indagini: Genny è colpevole?

La risposta può davvero cambiare qualcosa, perché quello che cinquanta poliziotti non faranno mai è proprio questo, sovvertire le coscienze, cambiare l’humus del terreno in cui la gramigna della camorra si ramifica. Possiamo militarizzare il territorio, istituire il coprifuoco, blindare le piazze, ma non basterà. Dobbiamo “sventrare Napoli”. Un’altra volta. E dal ventre dobbiamo strappare proprio questo: la colpa degli innocenti. Solo così Genny vivrà come vuole lo striscione. Era colpevole? Adesso potete rispondere.

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