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Ma per la Chiesa al sacerdote è vietato “conservare qualsiasi ricordo della confessione”

La decisione della Curia di Napoli di non far rispondere i sacerdoti al questionario anti-pedofilia del Garante regionale dell’infanzia trova radici nel Catechismo della Chiesa cattolica: pena della rottura del sigillo sacramentale è la scomunica.
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Se la salvezza o la liberazione del mondo intero dovesse dipendere dalla rivelazione di un solo peccato, non lo si deve rivelare, anche se il mondo intero dovesse perire o essere distrutto; e persino nel caso in cui ciò dovesse servire per la liberazione di tutte le anime che sono nell’inferno dall’inizio del mondo, non lo si deve rivelare.” Lo sosteneva nel 1500 Martin Alfonso Vivaldo in un manualetto rivolto ai sacerdoti.

Sei secoli dopo, la Curia di Napoli, guidata dal cardinale arcivescovo Crescenzio Sepe finisce sotto l’accusa del garante regionale per l’infanzia della Campania, Cesare Romano, per non aver chiesto ai parroci di rispondere ad un questionario anonimo sul tema degli abusi sessuali intrafamiliari su minori. Il portavoce del cardinale, il giornalista di lungo corso Enzo Piscopo, ha spiegato a Fanpage che non è stato possibile fare altrimenti “a causa del segreto confessionale”, nonostante i questionari fossero del tutto anonimi.

A regolare la questione del segreto, imposto a tutti i sacerdoti sotto pena di scomunica, cioè l’estromissione dalla Chiesa cattolica, il volume di oltre novecento pagine che serve da sintesi dell’intera dottrina cattolica.  In un testo ufficiale intitolato “Il sigillo sacramentale nella normativa canonica”, scritto da monsignor Krzysztof Nykiel, reggente delle Penitenzieria Apostolica, cioè il più antico tribunale della Curia romana, viene chiarito con parole semplici in cosa consiste il sigillo.

Il ruolo del confessore quando ascolta dei peccati

Monsignor Nykiel chiarisce che “il confessore, ascoltando le confessioni dei peccati, non vive questo ministero a nome proprio, ma sostanzialmente ed esclusivamente a nome ed in vece di Dio. Il penitente aprendo il suo cuore confessa, quindi, i suoi peccati a Dio stesso, e solo Dio, tramite il ministero del sacerdote, assolve i peccati. A tal proposito, il Catechismo della Chiesa Cattolica al numero 1467 recita che ciò che il penitente ha manifestato al sacerdote viene „sigillato” dal sacramento. Dobbiamo quindi ricordare e sottolineare con grande forza ed intensità che il sigillo confessionale è, quindi, tutelato dal diritto naturale, dal diritto divino e dal diritto ecclesiastico.” In pratica, il confessore è solo il ricevente della confessione dei peccati, che viene effettuata direttamente a Dio. Per questo motivo, non può divulgare quanto ha sentito.

Affinché vi sia violazione del segreto sacramentale – spiega Nykiel, citando i documenti del Magistero ecclesiastico – è necessario che si dia divulgazione o rivelazione della materia oggetto del sacramento.” Non solo: è “assolutamente proibito al confessore far uso in qualunque modo delle conoscenze acquisite dalla confessione” perché, altrimenti, la divulgazione potrebbe rendere “odioso il sacramento della penitenza” ad altri.  In sostanza, se i fedeli non fossero certi che quanto confessano non sarà mai reso pubblico, potrebbero decidere di non accostarsi alla confessione o potrebbero, addirittura odiare questo sacramento.

In una intervista del 2014 ad un sito cattolico, il penitenziere maggiore del Vaticano, il cardinale Mauro Piacenza, si spinge anche oltre. A chi gli chiedeva se un sacerdote può violare il segreto della confessione per salvare la vita a una persona condannata ingiustamente, risponde seccamente di no, spiegando che “il confessore deve assumere il martirio dentro di sé. Può fare tutto il possibile per salvare la vita attraverso la preghiera, la penitenza, la testimonianza. Ad ogni modo, non potrà mai parlare per dire che quella persona è l’assassino. Questo non lo potrà mai dire.”  Il cardinale spiega anche  che “in base alla dottrina classica, al confessore è proibito coltivare qualsiasi ricordo. Se in qualche momento gli viene in mente deve allontanare il pensiero, come farebbe con qualsiasi altro pensiero illecito o negativo.”

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