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Storie di boss e 007: quando i Servizi segreti incrociano la malavita

Dalla cattura di Paolo Di Lauro alla presunta “trattativa” con Antonio Iovine: così i Servizi segreti spuntano nelle inchieste sulla criminalità organizzata all’ombra del Vesuvio.
A cura di Simone Di Meo
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Se non fanno queste cose, i Servizi segreti a che cosa servono? L'inchiesta sulla presunta trattativa tra gli 007 e gli emissari del boss Antonio Iovine per arrivare alla cattura del killer stragista Giuseppe Setola è solo l'ultima puntata di un lunghissimo romanzo noir dove criminalità organizzata e apparati di intelligence sembrano intrecciare trame oscure e raggiungere accordi indicibili. Ma è davvero così? Il “dialogo” tra settori specifici dello Stato e Antistato esiste da sempre e se, in qualche inchiesta, ne spunta qua e là qualche traccia, significa che c'è ancora gente che rischia sul campo per fare il proprio mestiere. D'altronde, nessuno (o quasi) si bevve la storiella della pezzogna acquistata per soddisfare il palato esigente del boss Paolo Di Lauro, quando fu arrestato nel 2005. Era stata una “taglia” dei Servizi a far parlare qualche confidente. Durante la faida di Scampia, addirittura l'agenzia Ansa diede la notizia che erano stati mobilitati gli 007 del Sisde per potenziare l'attività di raccolta delle informazioni da sviluppare poi in sede investigativa. E pure nel filone – tuttora inesplorato – degli affari miliardari chiusi dal clan dei Casalesi durante gli anni della peste, i Servizi sono presenti. Ne parla l'ex subcommissario Giulio Facchi ai pm che hanno messo agli arresti Nicola Cosentino specificando, però, che quelli che incrociò sul suo cammino non erano agenti segreti di settori deviati, ma addetti istituzionalmente a controllare e monitorare i movimenti della camorra attorno ai grandi appalti dell'emergenza rifiuti. È questo il compito delle strutture di informazione e sicurezza: sfruttare quella flessibilità che le forze dell'ordine non potrebbero avere.

Oggi, due camorristi – Benedetto Cirillo e Maurizio Di Puorto – raccontano che sedicenti appartenenti ai Servizi provarono a mettersi in contatto con il superlatitante Antonio Iovine per chiedere la testa di Setola, ormai incontrollabile nella sua furia omicida. Avrebbero addirittura pagato una ricompensa di circa 500mila euro, scrive Leandro Del Gaudio su “Il Mattino”. Ma l'accordo non sarebbe stato raggiunto anche e soprattutto a causa delle clausole poste da Iovine per aderire all'offerta di collaborazione: la scarcerazione della moglie Enrichetta e una maggiore libertà di movimento sul territorio. Richieste ritenute inaccettabili. Giustamente. I Servizi, insomma, si mossero per fermare la furia stragista di un pazzo che girava per la provincia di Caserta con kalashnikov, pistole e tritolo. Che cosa c'è di strano? C'è di strano che i Servizi segreti sono “selvaggina pregiata” nelle riserve di caccia dei collaboratori di giustizia. Perché, per il solo fatto di parlarne, i pentiti diventano più credibili. E aumentano la loro autorevolezza. E, a dirla tutta, c'è già una storia simile negli annuari della camorra napoletana. La racconta il pentito Michelangelo Mazza svelando l'incontro o presunto tale che suo zio, il padrino Giuseppe Misso, ebbe con misteriosi soggetti in un ristorante di Salerno. Un episodio rimasto avvolto nel mistero.

“Mio zio mi disse che dovevamo incontrare due persone, in un locale, e che io dovevo osservare alcune rigide disposizione che lui mi impartiva – dichiara Mazza in un verbale del 2010 –. Avrei dovuto tenere le mani sulle due pistole, controllare le mani ed i movimenti delle persone che avremmo incontrato e soprattutto controllare l’eventuale arrivo di altre persone nel locale. Mio zio disse che, anche se fossero entrati poliziotti o carabinieri, io avrei dovuto sparare loro contro, in quanto non sarebbero entrati per svolgere una normale attività di servizio, ma per nuocerci”. Il faccia a faccia è tranchant. “Il vecchio iniziò a dire che era noto il valore di Giuseppe Misso e poi che c’era la necessità che nella città di Napoli non ci fossero scontri diretti tra organizzazioni camorristiche o faide eclatanti anche perché c’erano, in corso, procedure per opere pubbliche importanti, e che soprattutto le istituzioni non dovevano essere ‘insidiate'; questo fu il termine testuale che usò la persona anziana – si legge nel verbale –. Ancora, la persona anziana invitò mio zio a considerare che ormai i tempi erano cambiati e che comunque loro sarebbero stati presenti in questa situazione, almeno sino a quando mio zio non si sarebbe nuovamente esposto”. “Compresi – è la conclusione del nipote, che fissa quest'appuntamento nel 1999 circa – che i due interlocutori appartenevano alle istituzioni, forse ai servizi segreti, e che in sostanza dicevano a mio zio che lui doveva adoperarsi per impedire una guerra di camorra e che l’unica cautela per lui e per la sua vita era quella di limitarsi a fare il criminale senza pensare a cose diverse e riguardanti le istituzioni”. Misso non riuscirà a evitare alcuna guerra di camorra. Sarà anzi arrestato e, dopo qualche anno, passerà a collaborare con la giustizia. Di quell'incontro non confermerà nulla perché – ha detto – il nipote si sarebbe inventato tutto.

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