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Alba, la bimba down adottata dopo il “no” di trenta famiglie: “La società non ci aiuta”

La storia di Alba, bimba rifiutata da 30 famiglie perché affetta da sindrome di down e adottata da un papà single ha commosso tutti. Oggi, Luca Trapanese, per niente pentito di aver accolto Alba nella sua vita, spiega che la società non è pronta ad affrontare la disabilità. E che quei 30 no sono una responsabilità di tutti.
A cura di Gaia Martignetti
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«Io dirò ad Alba che non è una bambina malata e cioè che la sindrome di down non è una malattia, ma un modo di essere». Luca e Alba sono ormai una famiglia a tutti gli effetti. Nel gennaio 2017 Luca ha presentato richiesta di affido per un minore che il tribunale non riusciva a collocare in una famiglia "tradizionale". A luglio 2017, il tribunale affida Alba, bimba di appena 30 giorni affetta dalla sindrome di down, che nessuno sembrava voler adottare, a Luca papà single e omosessuale. La vicenda di Alba è salita agli onori della cronaca perché 30 famiglie si sono tirate indietro una volta saputo che la bimba è portatrice di trisomia 21, la sindrome di down. Proprio per questo Luca ha potuto ottenere l'affido e poi l'adozione di Alba.

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In Italia secondo l'articolo 44 della legge 184/1983, un single può chiedere l'affido preadottivo di un minore in diversi casi. Perché non sono state individuate coppie idonee, perché nessuna famiglia "tradizionale" è disponibile ad accogliere il piccolo o se esistono condizioni di disabilità. Luca, anche nelle sue precedenti interviste, non ha mai parlato della vicenda di Alba come di una storia di abbandono, ma di destino e speranza. La madre della bimba, «l'ha lasciata in ospedale perché sapeva che sarei andato a prenderla. Questo racconterò un giorno ad Alba». Anche quando bisogna trovare una spiegazione alle 30 coppie che hanno detto no alla bimba, Luca non parla mai di rifiuto, non nei confronti della piccola almeno.

«Sarebbe semplice dire che quelle coppie l'hanno rifiutata» spiega Luca. «Non si pensa che quelle coppie hanno dovuto ammettere di avere una loro disabilità, perché non possono avere figli. Magari sono coppie che per anni hanno provato a fare l'inseminazione artificiale e non ci sono riuscite. Si sono poi dovute orientare verso l'adozione, farsi giudicare, giustamente, dai servizi sociali da un percorso lunghissimo con le psicologhe. Poi c'è l'attesa, l'idoneità all'adozione e poi all'improvviso ti chiamano e ti dicono che c'è un neonato. Che è quello che tutti vogliono. Ma ha 30 giorni e la sindrome di down. Molto spesso mi interrogo su questi no, perché ci sono stati?». Oggi, continua Luca «una coppia che ha un figlio disabile viene vista come una coppia "sfigata", sfortunata, che deve affrontare una marea di problemi burocratici. Non c'è un accompagnamento psicologico. Quando nasce un bambino disabile, la coppia se lo porta a casa e rimane da sola. Queste persone sono impreparate. Oltre alla fatica dell'accettazione devono vivere anche l'abbandono da parte delle istituzioni. Io dico sempre, quindi, che questo non è un no di 7, 20 o 30 famiglie. Ma è un no di una società».

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