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Arrestato per corruzione, ma era tutto falso: “Così lo Stato mi ha distrutto la vita”

“Ero un brigadiere dei carabinieri, mandavo in carcere i boss, poi qualcuno ha voluto punirmi per la mia onestà”. A Fanpage.it la storia di Gerardo De Sapio, ex brigadiere d’istanza a Monteforte Irpino e vittima di un clamoroso errore giudiziario. “Un giorno i colleghi si presentano a casa con un mandato arresto: ‘Preparami il completo buono, dico a mia moglie, ché una persona onesta quando va in galera lo fa con il vestito'”.
A cura di Angela Marino
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"Sono Gerardo De Sapio e sono vittima di un errore giudiziario". Resta composto e sorridente mentre racconta alle telecamere di Fanpage (video) la tragica disavventura che gli ha spezzato la vita, Gerardo, ex brigadiere dei carabinieri in servizio a Monteforte Irpino, a poco meno di dieci chilometri da Avellino, dove ha passato gli anni della sua giovinezza in trincea contro i clan della camorra irpina. "Abbiamo mandato in galera i boss dei due principali consorzi criminali, Genovese e Cava. Sono stato testimone chiave nei confronti di questi personaggi e sì – risponde ridendo alla nostre domanda – ho rischiato la vita, perché in una sparatoria i proiettili non fanno differenza tra carabinieri e criminali, giusto?".

Il giorno che mi cambiò la vita

"Una mattina – racconta Gerardo con un guizzo di rabbia negli occhi – era l'8 marzo 2008 si presentò alla mia porta il comandante del mio nucleo operativo per notificarmi un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, un  mandato di arresto, in somma. In casa c'erano mia moglie e mio figlio, atterriti, io invece rimasi calmo e dissi a mia moglie di prepararmi il completo buono, ché quando viene arrestata, una persona per bene si mette il vestito. L'accusa era quella di divulgazione di notizie, aggravata dall'articolo 7 (mafia), una cosa gravissima.

Chi venne a prendermi quella mattina, ne sono certo, per vedere come si sarebbe umiliato un carabiniere a essere arrestato come un volgare delinquente per accuse che ben si sapeva essere false. Contro di me, infatti, avevano solo un'intercettazione di un colloquio in carcere tra Raffele Dello Russo, esponente dell'omonimo clan, e sua moglie Simone Nastri. Durante questo colloquio entrambi facevano esplicito riferimento a quanto detto loro da tale ‘Gerardo il carabiniere' su una raffica di arresti che avrebbe colpito il clan".

Le umiliazioni

"Se avevano prove? No, in mano non avevano niente" – spiega Gerardo – "e anche gli arresti di cui parlavano quei due, peraltro, non avvennero mai". Quel giorno, infine, fui portato nel penitenziario militare di Santa Maria Capua Vetere, quello dove vengono ristretti gli ex funzionari delle forze dell'ordine. Fu allora che cominciarono le umiliazioni: mi fecero spogliare nudo, fare le flessioni. Non lo auguro a nessuno, in quei momenti la dignità di una persona finisce" .

Il rito: ‘Spezza lo spazzolino e non tornerai'

"Restai in cella, prima in isolamento e poi in regime comune, per quindici giorni. In quelle settimane non mi persi mai d'animo, eh, tenni su il morale degli altri detenuti". "Ce n'era uno, in particolare, con cui nessuno voleva parlare, era un ex poliziotto penitenziario, proprio lui mi disse: ‘Tu da qui esci e quando lo fai, devi seguire un rito. Gli chiesi di cosa si trattasse e lui mi spiegò che per scongiurare il ritorno dietro le sbarre, quando uscivo avrei dovuto prendere lo spazzolino da denti e spezzarlo in due".

"Passai in cella il giorno di Pasqua e proprio in quei giorni, insieme agli altri detenuti, decisi di scrivere una lunga lettera a mia moglie, come quelle che le scrivevo quando ero militare. Volevo dirle quanto la amavo, quanto quell'esperienza mi aveva fatto ricordare come tenessi a lei. Oh, e ancora oggi, sapete? Oggi la amo ancora di più". "Alla fine vennero a notificarmi la scarcerazione e io feci quello che dovevo fare: spezzati lo spazzolino". "Il ritorno a casa fu commovente: avevo un circoletto in cui si riunivano amici e alcuni ragazzi che aiutavo salvandoli dalla strada, quel giorno era pienissimo, c'erano tutti anche mio padre. Poverino, lui ha sofferto tanto, è morto senza vedere la mia assoluzione, ma ha sempre creduto in me".

Assolto: ‘ma per tutti resto un delinquente'

"Nella vicenda giudiziaria fui difeso dall'avvocato Gaetano Aufiero, un avvocato esperto di camorra che è  stato anche legale di Raffaele Cutolo e di altri boss, infatti fu proprio in aula che ci incontrammo la prima volta, tempo addietro. Io ero sul banco dei testimoni, lui in quella della difesa. Fu lui a proporsi a me per rappresentarmi, sapeva che era una causa vinta, lo avevo osteggiato così duramente quando difendeva i criminali, non potevo essere corrotto. E ovviamente poi fui assolto, ma l'onta mi è rimasto addosso".

"Vedete –  spiega – le persone non conoscono la Legge e i tribunali, leggono in prima pagina sui giornali: "Carabiniere arrestato per collusione per camorra" e poi, mesi dopo, quando esce – in quinta pagina – la notizia dell'assoluzione, non ci fanno caso. Per quelle persone resterò sempre un delinquente". "Ho perso tanto – riflette con gli occhi pieni di malcelata tristezza – oggi sono un uomo solo, non mi fido dell'Arma (Gerardo non tornerà mai più in servizio, ndr), non mi fido dei vecchi amici e colleghi, non mi fido di nessuno. A tradirmi sono state proprio le persone che sapevano che ero onesto". " A chi oggi è stato ingiustamente accusato dico solo una cosa: ci dovete credere, dovete credere nella vostra innocenza e alla fine, se sarete fortunati come me, troverete un giudice che la riconoscerà".

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