Bassolino: “Tempi della città da ripensare. Crisi economica? Fa paura come quella sanitaria”
«Ci sono certi momenti in cui Napoli sa dare il meglio, tira fuori doti che chi non la conosce non capisce, non intende. Qualcuno è rimasto sorpreso quando ha visto le immagini della città deserta. Io no, per me nessuna sorpresa, ne ero sicuro. Ero sicuro del senso di responsabilità di tutti. E sa, penso di conoscerla un po', Napoli…».
Antonio Bassolino è come un diesel: carbura sul filo del presente quando parla della città della quale è stato sindaco, poi corre verso Sud parlando di politica, quella stessa politica cittadina, regionale e nazionale che oggi non può prescindere dall'ingombrante presenza che da febbraio accomuna il mondo intero: la pandemia da Nuovo Coronavirus.
E dire che pure stavolta qualcuno ha provato a polemizzare su Napoli e il rispetto delle regole…la gente alla Pignasecca nei giorni di lockdown, le foto delle persone…
«Ma cosa! Ma tutto questo scandalo per 150 metri? Alla Pignasecca ci sono pescherie, fruttivendoli, negozi, una funicolare, una metro, la Cumana, c'è un ospedale! C'è stata invece una grande compartecipazione dei cittadini. Hanno avuto un grande ruolo altrimenti non ce l'avremmo mai fatta. Nemmeno coi carri armati li facevi stare, a casa in certe zone… E invece è scattato un circuito positivo anche tra istituzioni e cittadini. C'è stata consapevolezza della situazione».
Senta Bassolino, oggi in tempi di Coronavirus si deve ripensare non solo la prossemica per consentire il distanziamento sociale, ma vanno rivisti gli spazi urbani delle città, risettati i tempi di funzionamento delle metropoli. Proprio lei da sindaco varò, primo in Italia, l'assessorato ai Tempi della Città. Come nacque l'idea?
«Era un tema che rientrava in un pacchetto di importanti cambiamenti che portammo in quegli anni a Napoli. Furono cambiamenti di sostanza e di forma, furono scelte politiche e programmatiche importanti. Varammo l'assessorato all'Identità, quello alla Normalità con Amato Lamberti, alla Vivibilità e appunto ai Tempi della Città, quando nessuno si poneva il problema…».
Che fece, dunque?
«Lo affidai a Giulia Parente che aveva esperienza di associazionismo nel centro storico e fu un momento di cambiamento molto interessante che riguardò scuole, negozi e uffici. La differenziazione fu questa: scuole aperte alle ore 8 – anticipammo di una mezz'oretta – uffici alle 9 e negozi alle 10».
I risultati?
«Furono positivi. Chiedemmo anche alle banche di aprire gli sportelli il sabato mattina, varammo in alcune circoscrizioni (oggi sono accorpate nelle 10 Municipalità ndr.) la Banca del Tempo, dove professori, artigiani, operai, davano le loro ore e si scambiavano conoscenze e saperi. Facemmo da battistrada per tante iniziative di altre città italiane».
Oggi, anno 2020, questo cambiamento non è auspicabile: è necessario.
«Sì. Siamo in tutt'altro contesto e c'è il tema di riprogettare gli spazi urbani e le modalità di spostamenti ai tempi del Coronavirus. Io ho già avuto modo di rifletterci sui social, aprendo una discussione. Si ripete spesso la necessità di mantenere il distanziamento sociale. Ma anche il linguaggio ha la sua importanza e dunque bisogna dirlo meglio: noi dobbiamo osservare una giusta distanza fisica di sicurezza e al tempo stesso abbiamo bisogno di avere rapporti sociali e legami civili».
A pagina 2 del ‘manuale del sindaco‘ cosa c'è scritto? Che si fa in questi casi? Che ruolo ha un amministratore pubblico in una questione così cruciale ed enorme?
«Ci sono diversi campi di intervento. Abbiamo una crisi sanitaria che è e deve continuare a stare sempre davanti ai nostri occhi e alla nostra attenzione. Ma abbiamo una crisi sociale che temo sarà ben più grave dell'emergenza sanitaria, almeno per quel che riguarda il Sud Italia. Ripeto: a Napoli, nel Mezzogiorno, la crisi sociale si prospetta grave peggio d'una crisi sanitaria che deve avere sempre e comunque la priorità d'attenzione».
Già oggi i segnali d'allarme di questa crisi economica e sociale sono chiari e molteplici.
«Arrivano anche a me tante segnalazioni, da diversi quartieri di Napoli, di situazioni inedite e terribili».
Di che tipo?
«Ai poveri ‘classici' che sappiamo, ovvero quelle fasce di difficoltà che conosciamo da sempre, si aggiungono i nuovi poveri, impensabili fino a poco tempo fa. Sono poco visibili poiché una parte di loro tende a non farsi notare, ha vergogna di questa improvvisa caduta nella scala sociale. Parliamo di un tema enorme. C'è bisogno oggi più che mai di un raccordo e di una collaborazione tra istituzioni locali, governo e comparto privato. Contro le povertà classiche e contro quelle nuove, per recuperare questi invisibili. E per contrastare l'aumento della disoccupazione che, purtroppo, arriverà immediatamente dopo».
Lei ha detto che Napoli nei momenti peggiori sa dare il meglio. Sarà così anche in questa fase?
«Nella crisi del virus abbiamo espresso un capitale umano e un senso di responsabilità che ora va convogliato e aiutato a contribuire nel risollevarci da questa nuova situazione di doppia difficoltà. Perché, lo ripeto, c'è una emergenza sanitaria che non finisce, ma c'è pure una crisi economica che sta davanti a noi e va affrontata».
E che tipo di politica serve, che tipo di donna o uomo politico serve, in questi casi?
«Serve scioltezza di pensiero, serve intelligenza, serve sollecitare le competenze, metterle assieme: si apre una fase di enorme difficoltà che per un politico è anche stimolante. E lo è anche dal punto di vista culturale. È una sfida cruciale che non possiamo non raccogliere».