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Calciatori del Napoli rapinati, il pentito di camorra: “Puniti perché giocano male”

Fu il pentito Salvatore Russomagno al processo per la rapina subita un anno fa da Valon Behrami, nel 2013, a parlare per la prima volta di raid punitivi: “Le rapine ai danni dei giocatori del Napoli avvengono quando un calciatore gioca male, oppure non si presenta presso i circoli sportivi”. Sullo sfondo i legami tra gli ultrà del Napoli e la malavita locale.
A cura di Angela Marino
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Mentre si indaga sulla rapina subita dal calciatore del Napoli Lorenzo Insigne lo scorso sabato 27 febbraio, torna a galla una pista battuta anche nei casi di altri furti ed episodi violenti ai danni dei giocatori azzurri: quella punitiva. La matrice, dunque, sarebbe estranea alla logiche che dettano le regole del crimine comune, ma sarebbe da addebitare a quelle che dettano, invece, le leggi nel sottobosco di ultrà e tifosi al limite: proprio in quell'ambiente che spesso si intreccia con la camorra, sarebbero maturate le decisioni di colpire i giocatori, per dare loro "una lezione".

Punirli per cosa? Per non aver partecipato alle manifestazioni organizzate dai tifosi. Era il 2013 quando il pentito Salvatore Russomagno, in aula, al processo per la rapina subita un anno fa da Valon Behrami, diceva: "Le rapine ai danni dei giocatori del Napoli sono punitive: avvengono quando un calciatore gioca male, oppure non si presenta presso i circoli sportivi, oppure parla male dei tifosi". Si tratta di una pista che i poliziotti che indagano sul colpo subito da Insigne non escludono.

Al novero ci sono già diversi precedenti: nel 2012  il centrocampista Valon Behrami fu vittima di una rapina nel quartiere Chiaia a Napoli, mentre il 2014 fu la volta del furto dell'auto. Oltre al giocatore svizzero anche altri giocatori azzurri come Hamsik, Cavani, Lavezzi; ma anche come calciatori minori come Aronica, Fideleff, e l’argentino Fernandez.

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