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Carabinieri corrotti a Napoli: cellulari e linee riservate per le ‘soffiate’ al clan

Prosegue l’inchiesta sui presunti carabinieri corrotti: secondo un collaboratore di giustizia, lo scambio di informazioni segrete avveniva su cellulari riservati. Da uno dei militari, venivano fatte comunicazioni riservate verso un intermediario che, a sua volta, avvisava poi un uomo del clan Puca.
A cura di Giuseppe Cozzolino
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[Immagine di repertorio]
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Cellulari e linee "dedicate" per le soffiate. L'inchiesta sui presunti carabinieri corrotti a Napoli prosegue: uno dei collaboratori di giustizia che ha collaborato con gli inquirenti per le indagini ha infatti spiegato che le informazioni, che sulla carta avrebbero dovuto essere riservatissime, "giravano" attraverso tre cellulari. Il pentito ha infatti spiegato, in un interrogatorio reso agli investigatori già il 24 luglio del 2017, che le informazioni partivano da uno dei militari che avvisava una seconda persona che faceva da "intermediario" del clan Puca, il quale a sua volte le riferiva ad uomini del clan, permettendo così ad esempio al boss Pasquale Puca di sapere in anticipo "di eventuali ordinanze applicative di misura cautelare, per dargli il tempo di sottrarsi alla cattura".

Lo stesso collaboratore di giustizia spiega che, nel dettaglio, la vicenda risalirebbe al 2009, quando il clan Puca venne a sapere che i carabinieri stavano indagando sull'omicidio di Francesco Verde, detto ‘o Negus, avvenuto a Sant'Antimo il 28 dicembre 2007 e che proprio il boss Pasquale Puca sarebbe potuto essere arrestato a breve. L'inchiesta sui carabinieri "infedeli" prosegue insomma senza sosta: tre degli otto coinvolti avrebbero acquistato case a prezzi vantaggiosi, grazie all'intervento di Puca e di un intermediario: anche in questo caso decisivi gli interrogatori del pentito, che avrebbe spiegato ai magistrati che in cambio di informazioni riservate ed indagini in corso, venissero garantiti questi acquisti immobiliari a prezzi più convenienti.

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