Chi era Giovanna Arrivoli, la camorrista che voleva essere un uomo
Parlavano di lei con l'espressione "isse" (in napoletano, lui) e nel clan la consideravano alla pari di un uomo. Giovanna Arrivoli, 41 anni, uccisa e gettata in un fosso in via Giulio Cesare a Melito, alle porte di Napoli, deteneva a tutti gli effetti il ruolo di un uomo negli ambienti di camorra. Gestiva il bar Blue moon nel cuore del quartiere 219 a Melito, roccaforte degli Scissionisti.
Ma Giò non si limitava solo a servire drink e noccioline e dietro al bancone faceva passare anche qualche dose di droga. Era stata in cella per reati connessi al traffico di droga e, dopo la sua scarcerazione nel 2012 ha continuato a fare affari con il clan. Affari che non sono andati sempre a buon fine, tanto che l'ultimo ammanco di cassa per una partita di droga, l'è costato la vita. Questa l'ipotesi degli inquirenti sulla morte di Giò, trucidata a colpi di pistola e poi sepolta con una manciata di terriccio in una fossa alla periferia di Melito. Un'offesa imperdonabile nel punto nevralgico dello spaccio a due passi da parco San Pio, feudo di Raffaele Amato, detto "‘O Spagnuolo" che insieme a Cesare Pagano, scatenò una delle faide più cruente che abbiano avuto luogo nella periferia di Napoli.
Voleva essere trattata come un uomo e per questo si è sottoposta a un intervento chirurgico per l'asportazione del seno. Giò aveva una compagna e proprio lei, terrorizzata dalla sua prolungata assenza da casa, ne ha denunciato la scomparsa lo scorso 7 maggio. Come in cuor suo temeva, Giò era stata rapita dai sicari della camorra. Saranno gli esami sul corpo a dire se la 41enne sia stata sottoposta a sevizie o trucidata con una fredda esecuzione. Alla fine, però, Giò non ha avuto sconti: la vendetta del clan non conosce genere, si abbatte ferale su chiunque ostacoli il clan.