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Chiusura campagna elettorale, sipari di periferia lontani dal lungomare

A Napoli le periferie lontane dal Lungomare liberato saranno chiamate alla urne.
A cura di Redazione Napoli
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di Claudia Procentese

Le sedie di plastica sono ordinate in file davanti il banchetto degli oratori. Sopra fanno bella mostra di sé pacchi di volantini azzurri, facsimile della scheda elettorale. C’è chi li dispensa a tappeto e chi spiega pazientemente e nei minimi dettagli come fare per votare, mentre il canuto cantante del pianobar intona “Ho bisogno del tuo amore” di uno sconosciuto Enrico Cascella. Il parco verde attrezzato, rara oasi conviviale per la gente di periferia, è affollato di mamme e scugnizzi sudaticci di corsa e acchiapparello. Oggi si distribuiscono biglietti gratis per le giostrine. Offre lui, il candidato alla municipalità, quello con il faccione sul manifesto e che chiude la campagna prima del voto di domenica. Ma qui, dentro il confine che non è anonima linea di Google Maps ma spazio di carne e ossa, per tutti è «chillo d’o Comune». Così come da sempre i poliziotti del commissariato sono «’e guardie d’a questura». Perché qui la città è lontana ed ogni quartiere è paese.

C’è la calca all’ingresso del trenino che regala la suspense di “pezzotte” montagne russe senza giri della morte, ma con qualche curva accelerata. A loro, ai bambini, pare di stare a Gardaland, il luna park che vedono nella pubblicità tv. Gli anziani, quelli che stavano parlando se Higuain va al Bayern Monaco o se l’Inps aumenta la pensione, stasera hanno novità di conversazione. Leggono il volantino, lo piegano, confabulano, rileggono il volantino, lo ripiegano, osservano attenti i cantieri del buffet. Due primi piatti con vino e sfizi vari è il passaparola veloce. Si aspetta con ansia, cose così non si vedono tutti i giorni. In questo quartiere di quasi 47mila abitanti non c’è un cinema, non c’è un teatro, non c’è una balera. Una coppia di vecchietti si lancia nelle danze, improvvisando un tango sceneggiato assai che fa urlare alla prima fila un “Dovete finire alla Ballando colle stelle”, intendendo la trasmissione presentata da Milly Carlucci. È lei, ancora la televisione, a definire il mondo sognato, desiderato dalla periferia. Luccicante, ma sul filo della finzione. Ed è sempre lei, la televisione, a definire il mondo gomorrese nella periferia. Roboante, ma sul filo della finzione. E allora c’è da chiedersi quanto di vero definisca la televisione. Arrivano altri candidati, gli alleati degli apparentamenti, arriva il politico da Roma giusto per il saluto, arrivano i camerieri che serviranno il rinfresco.

Poche parole per il discorso alla folla. Dopo le polemiche sull’impresentabilità, sui chiacchierati collegamenti, meglio parlare poco. «Hanno tentato di tutto per ostacolare il nostro cammino». Il microfono si inceppa. Applausi. "Non vi fate ingannare dalle persone che vi conoscono solo in questi giorni e dopo domenica non vi degneranno nemmeno di un saluto. Votate chi vi è stato sempre vicino, voi ci avete sempre trovato". Si apre il buffet. A metà tra la sagra del friariello e il compleanno di nonna Rafilina. Lontano dal palco sul lungomare. Le donne in sgargiante abito da cerimonia, cortigiane del potere, si confondono con i tatuaggi smanicati di chi in queste zone si marchia sulla pelle non la moda, ma un modo di vivere. È la sottile differenza di genere ed identità. Il canuto cantante parte, all’improvviso, con un impegnativo Frank Sinatra e dopo un imprecisato "ai feistòl endaistutòl" in rima baciata, chiude con un vigoroso "endidìt mai uei". Chissà se sa di aver appena detto: «Ho affrontato tutto e sono rimasto in piedi. L’ho fatto a modo mio». Un modo di vivere. Lontano dalla città.

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