«Mi hanno detto che non c’è più niente da fare. È un tumore maligno, non so quanto gli resta ma non c’è più niente da fare. Se si fosse intervenuti quattro mesi fa, magari sarebbe salvo». Sguardo basso, stanco ma con ancora un po’ di forza per chiedere un gesto di umanità: lasciare che il padre, Ciro Rigotti, 62enne che sta scontando 9 anni di carcere per spaccio, possa morire a casa e non in un letto d’ospedale. Annunziata Rigotti racconta a fatica un incubo cominciato quattro mesi prima e che, come denuncia ai microfoni di Fanpage.it, forse si sarebbe potuto evitare. «Abbiamo il colloquio di un’ora ogni settimana, il giovedì, in carcere. Ogni volta vedevo mio padre sempre più magro», racconta Annunziata che continua, «io gli chiedevo: papà ma non ti stanno curando? Lui mi rispondeva che gli davano solo delle gocce per il dolore».
Ciro Rigotti accusava dei dolori all’orecchio e frequenti mal di testa che pare, stando a quanto racconta la figlia, non siano stati curati a dovere. «Un giorno, parlo sempre di quattro mesi fa, racconta Annunziata, mio padre al colloquio si è presentato con uno zaffo nel naso, perché aveva avuto un’emorragia». Successivamente, a luglio, l’uomo viene visitato, racconta la donna e il responso è un polipo benigno accanto al naso. Viene richiesta una Tac che è stata poi effettuata a settembre, quando è stato portato all’ospedale Cardarelli, dove tutt’ora si trova. Il risultato non lascia scampo a Ciro Rigotti: un tumore maligno che ha invaso tutto il viso, impedendogli anche di mangiare, racconta la figlia. È ora il dubbio che attanaglia la famiglia Rigotti è che se si fosse intervenuti prima, forse, oggi, la storia non sarebbe stata la stessa. «Lo dovevano curare prima non adesso, spiega Annunziata, mi dicevano che non era niente; ora è un tumore maligno». Stanca e provata, accompagnata dall’attivista per i diritti dei detenuti Pietro Ioia, la figlia di Rigotti lancia un appello: «Lasciate che mio padre torni a casa, per morire tra noi con l’amore di una famiglia». Il Cardarelli fa sapere che l’uomo è stato ricoverato dal 4 al 7 settembre nel reparto di Otorinolaringoiatria e che successivamente, l’11 settembre, è arrivato in stato catartico in codice rosso al pronto soccorso. «Sta chiedendo di tornare a casa, ormai è alla fine, sta chiedendo di morire nel suo letto e non in ospedale», aggiunge Pietro Ioia. «Mio padre, conclude Annunziata, ha commesso degli errori ed è giusto che paghi, ma non in queste condizioni».