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Compie 100 anni l’Elena di Savoia: “Preserviamo il valore delle scuole storiche napoletane”

Lunedì scorso il convegno che ha aperto il ciclo di festeggiamenti per il centenario dell’istituto nato nel 1920. Palazzo Carafa d’Andria, oltre alle aule, ospita una preziosa biblioteca, un archivio inedito e un gabinetto scientifico di fisica di inizi ’900. Quello delle scuole storiche napoletane è un tesoro spesso abbandonato a se stesso. Il dirigente Baldassarre punta sullo studio del passato per formare e tutelare: “È come stare in un museo. Motivo di orgoglio, ma anche di grande responsabilità. Occorre lavorare sul senso di appartenenza dei nostri ragazzi, perché se sento di appartenere, allora rispetterò il luogo dove abito, studio, vivo”.
A cura di Claudia Procentese
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Varcare l’ingresso dell’Elena di Savoia è come fare un viaggio nel tempo. Perché quella che oggi è una scuola, ieri era il palazzo quattrocentesco dei Carafa d’Andria. I rifacimenti del ’500, le sopraelevazioni, i restauri dell’800, le modifiche, gli ampliamenti sono stratificati in tracce visibili agli occhi di un osservatore attento. E conducono dentro le varie epoche storiche in un continuum di contaminazioni che, però, lasciano intatta l’impronta durazzesca.

Incontro ravvicinato con la Storia

Superata la facciata neoclassica, appare imponente l’arcata gotica-catalana sorretta da quattro pilastri in grigio piperno a mo’ di trifora policentrica. Le età si susseguono, gli stili si fondono. Pochi passi e, dopo il vestibolo, si apre l’ampio cortile quadrangolare che anticipava un giardino intorno al quale, un tempo, girava l’intero corpo di fabbrica. Prendendo a salire lo scalone, a doppia tenaglia fino al primo piano, il fiatone si ferma davanti allo spuntare improvviso di un Cristo Pantocratore di fattura quattrocentesca. Sta dentro una mandorla di marmo, incassato in un muro tra il primo e il secondo piano, forse proveniente da una cappella. La storia è qui e ti guarda come quel Gesù assiso dalla chioma così realisticamente fluente.

“È come stare in un museo”

Percorrendo i lunghi corridoi che affacciano sul loggiato, si scorgono le aule che hanno preso il posto degli ex appartamenti nobiliari. Di questi ultimi qualcosa rimane solo in un’ala del palazzo, oggi chiusa, arredata da prezioso mobilio portato via furtivamente nel corso degli anni da ladri senza scrupoli. Manca all’appello, si dice, anche un busto bronzeo di Mussolini che visitò la scuola negli anni Venti. L’ufficio di segreteria, poi un’anticamera, fino ad arrivare alla stanza della direzione. Luminosa, con la scrivania antica in legno massiccio, intorno una caffettiera su una mensola e un orologio marcatempo di inizi ’900 su una parete, invece sopra la sedia del preside un quadro raffigurante la regina Elena di Savoia. «L’ho appesa io al muro, è una foto dell’epoca trovata in un angolo, così come la macchinetta per preparare il caffè e il timbracartellini – racconta il dirigente dell’istituto, Giuseppe Baldassarre, mentre illustra gli oggetti che lo circondano -. Questa scuola è così, una continua scoperta. È come stare in un museo».

Il convegno per il centenario

L’Isis Elena di Savoia, nato nel 1920 dalla fusione di due scuole regie femminili, compie cento anni. Ha avuto un ruolo fondamentale nell’emancipazione sociale delle giovani napoletane tra la fine dell’800 e il primo cinquantennio del XX secolo e oggi forma i ragazzi che lavoreranno nel settore tecnologico, economico, turistico e dei servizi. Lunedì scorso si è svolta la prima giornata del ciclo di festeggiamenti per il centenario che continueranno fino a maggio. Un convegno dal titolo “La scuola tra passato e futuro” svoltosi nell’aula magna dell’istituto che affaccia in largo San Marcellino, nel cuore del centro storico dove sorgeva il Palazzo pretorio, dimora dei duchi di Napoli durante il periodo bizantino. Tra i relatori la presidente Valentina Bia, attuale preside del liceo Vittorio Emanuele II – Garibaldi, e il coordinatore Francesco Di Vaio del Forum scuole storiche napoletane che hanno sottolineato quanto la memoria del futuro sta nella capacità del presente di trasmetterla attraverso un processo di riappropriazione collettiva del patrimonio di archivi, biblioteche e oggetti museali scolastici, il professore Italo Ferraro dell’università Federico II con una lezione sull’architettura catalana a Napoli e la professoressa Maria Rosaria Cavaliere, referente del progetto Nemo (Network Educational Museums Online), nato per salvaguardare il bagaglio storico-scientifico delle scuole partenopee e per renderlo fruibile al pubblico attraverso il web.

Presenti l’assessore del Comune di Napoli al Patrimonio e ai Giovani Alessandra Clemente, quello alla Cultura Eleonora de Majo, la senatrice Annamaria Parente e la consigliera regionale con delega alle Pari opportunità Loredana Raia che ha consegnato al preside una targa di riconoscimento. Sono intervenuti, nell’ottica di una collaborazione con forze dell’ordine ed istituzioni territoriali, anche il tenente Domenico Rana del Comando Provinciale dei carabinieri di Napoli, Lucia Valenzi presidente della Fondazione Valenzi e i comandanti della Marina militare Gennaro Carola e Fabio Zoccolillo.

Gestire l’antico nelle difficoltà del presente

“La scuola tra passato e futuro”, il tema del dibattito. Ma oggi, nel presente, chi ha a cuore il patrimonio umano e artistico di queste scuole storiche, troppo spesso abbandonato a se stesso? Molto viene affidato alla buona volontà di dirigenti e docenti che, coscienti di avere tra le mani non solo menti da educare ma anche edifici da preservare, con sacrificio mandano avanti strutture appesantite dagli anni. La responsabilità del privilegio. «Vengo dal liceo Virgilio di Roma, ho già esperienza di lavoro in una sede storica – spiega Baldassare, a capo dell’istituto napoletano da appena cinque mesi -. Se è motivo di orgoglio, tuttavia pochi conoscono l’altra faccia della medaglia fatta di preoccupazioni quotidiane per affrontare problemi che nei fabbricati moderni sono di più facile risoluzione. Una stupidaggine da noi diviene un grattacapo. Un esempio? La seconda scala di emergenza. Non possiamo metterla fuori perché nei vicoli non ci sta, né possiamo aggiungerla all’interno del cortile perché la struttura metallica andrebbe a coprire l’antica facciata, violando i vincoli architettonici».

Obiettivi di bassa istanza eppure necessari. Senza mai dimenticare quelli di alta missione da educatori. Circa 1400 gli studenti, contando pure la scuola serale e la sede distaccata dell’Armando Diaz in via dei Tribunali. Una platea scolastica variegata che proviene da quartieri differenti, ognuno con la sua storia e le sue peculiarità. «Occorre lavorare sul senso di appartenenza di questi ragazzi – sottolinea Baldassarre -, perché se sento di appartenere, allora rispetterò il luogo dove abito, studio, vivo. Solo così potrò tramandare a chi viene dopo di me i miei tesori. Che non considererò roba vecchia da maltrattare, ma mia fortuna e ricchezza da curare».

Accanto ai nuovi e attrezzati laboratori, il gabinetto scientifico di fisica di inizio ’900

Una biblioteca che aspetta la catalogazione dei preziosi volumi, un archivio inedito di carte e documenti a partire dal 1879 che contribuiscono con la loro “piccola” storia a ricostruire la “grande” storia di Napoli, un gabinetto scientifico di fisica degli inizi del ’900 con strumenti ancora funzionanti. Il patrimonio dell’Elena di Savoia, come quello delle cento scuole storiche napoletane, molte istituite subito dopo l’Unità d’Italia in monasteri e dimore signorili, in cui sono ancora ubicate, non è inerte. Anima l’attività di insegnanti impegnati nella sua tutela e valorizzazione. Tra loro Maria Rosaria Ruggiero Maniscalco, docente di italiano e storia da quatto anni all’istituto di largo San Marcellino. «Celebrare il centenario – dice – significa recuperare il nostro passato per aiutare i ragazzi a crescere e diventare cittadini più coscienti. Sono un’insegnante che crede ancora nella possibilità, per quanto impopolare, di educare attraverso la storia. Il Forum delle scuole storiche è una eccezionale realtà che dovrebbe ricevere l’attenzione dei nostri atenei, allo scopo di avviare progetti da affidare anche a giovani universitari». Un appello accorato che parte dalla constatazione che nel biennio della scuola professionale l’insegnamento della storia è ridotto, dopo la riforma ministeriale, ad una sola ora settimanale. Troppo poco.

Eppure noi siamo fatti di storia. E farne memoria vuol dire conservare anche quella dello stereoscopio a lenti mobili con diapositive, datato fine ’800 – inizi ’900. Guardandoci dentro accade il miracolo. Girando una manopola laterale, scorrono davanti agli occhi una sessantina di diapositive originali della prima guerra mondiale che, seppur piane, per un effetto ottico danno l’idea del rilievo. Insomma, la prima forma del 3D. È uno degli oggetti che arricchiscono il gabinetto di fisica dell’Elena di Savoia. Era un regalo di un gerarca fascista innamorato di una bella docente della scuola. La “piccola” storia nella “grande” storia.

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