«D'altra parte voi di cognome come fate? Loffredo. E Loffredo è un tipico cognome longobardo…». Luciano De Crescenzo nei panni del professor Bellavista così ‘interrogava' il futuro genero a cena cercando di scoprire le sue origini. Trent'anni e più dopo, ci troviamo davanti all'ingegner Matteo Brambilla, brianzolo doc, trapiantato all'ombra del Vesuvio per amore e candidato del Movimento Cinque Stelle a sindaco di Napoli. Apriti cielo. ‘O milanese candidato a governare i napoletani? E com'è potuto mai essere possibile?
Se lo chiede il governatore Vincenzo De Luca che sostiene Valeria Valente candidata a sindaco, su Twitter provocatoriamente dichiara «A Napoli il M5S ha scelto uno che si chiama Brambilla. Sarà pure un'ottima persona, ma come si fa? Scegliete uno che si chiama Esposito». Luigi De Magistris evita gli sfottò – il M5S potrebbe essere un alleato al ballottaggio alle Elezioni Comunali di giugno – però i suoi si fregano le mani, in particolare l'area identitaria-neoborbonica, quella per intenderci che si esalta per la ferrovia Napoli-Portici e per il bidet delle Due Sicilie.
Insomma, la sindrome del dottor Cazzaniga, (il milanese capo del personale dell'Alfasud nel film di De Crescenzo) avvolge la campagna elettorale partenopea. Chi è più napoletano? Chi è autorizzato a dare patenti di napoletanità? Il sindaco di Napoli forse (più che forse…) è stato tifoso dell'Inter; Brambilla è (udite udite) juventino e brianzolo. A questo si è ridotta la campagna elettorale, in particolare quella del Partito Democratico che anziché tenere a bada il borsellino degli spiccoli per le sue vergognose elezioni primarie si butta nel cliché fino al collo. Sperando che ‘spernacchiare' un candidato per il suo accento possa mettere a tacere cinque anni di sostanziale disinteresse per la città.