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Con le carte di credito clonate avevano comprato anche una Ferrari, migliaia di truffati

La Guardia di Finanza ha sgominato una banda che ha truffato migliaia di persone clonando carte di credito. Agli indagati sono stati sequestrati beni per oltre un milione di euro, tra cui una Ferrari. I dati venivano reperiti su Internet e sul Dark Web o da ignari uffici dell’Anagrafe, i soldi erano ripuliti con varie tecniche, con acquisti online e società fasulle.
A cura di Nico Falco
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Una Ferrari California Cabrio del 2009, del valore di 130mila euro. E poi altre automobili di pregio, imbarcazioni, prodotti tecnologici. Tutto comprato coi soldi truffati a migliaia di ignare vittime, titolari di carte di credito i cui dati erano finiti su Internet ed erano stati recuperati da una banda di truffatori che con questo sistema aveva intascato oltre un milione di euro. Le indagini hanno portato a un'ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip del Tribunale di Vallo della Lucania ed eseguita dal Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Salerno, a carico di tre persone, ritenute responsabili della frode. Il provvedimento è stato notificato dai finanzieri della Compagnia di Agropoli a G. M. e A. L., residenti in provincia di Avellino, e a E. A., che invece abita in provincia di Salerno. Sono accusati di associazione per delinquere, utilizzo indebito e falsificazione di carte di credito, sostituzione di persona, trasferimento fraudolento di valori e riciclaggio. Sono state perquisite le abitazioni di altri 10 indagati, sotto sequestro sono finiti beni per un importo complessivo superiore a un milione di euro. Le indagini erano state avviate nel 2018. Molte delle vittime sono ancora ignare del raggiro: i truffatori, cambiando i parametri delle carte, avevano sostituito anche il numero di telefono delle comunicazioni da parte della banca, facendo in modo che i prelievi non venissero comunicati all'intestatario.

Come funzionava la truffa

I capi della banda, secondo quanto ricostruito dalle forze dell'ordine, erano G. M. e A. L. Il primo passo era il reperimento delle carte di credito da utilizzare. A. L. era incaricato di trovare i dati, sfruttando le proprie competenze informatiche, o di comprarli sul dark web; ogni carta di credito costava circa 35 euro. Per risalire ai dati anagrafici e ai numeri di cellulare, indispensabili per sfruttare le carte già in loro possesso, gli indagati usavano la tecnica del phising telefonico. Era lo stesso A. L. che telefonava agli Uffici dell'Anagrafe ed ai call center delle banche spacciandosi per l'intestatario della carta o per un fantomatico maresciallo dei carabinieri e pressando per avere le risposte, millantando, di caso in caso, la perdita delle password o l'esistenza di delicate indagini in corso.

Acquisti on line e riciclaggio

Una volta ottenuti dati delle carte e degli intestatari, la banda poteva passare alla seconda parte della truffa. Quella dell'incasso. Gli indagati acquistavano online, tenendo i prodotti per sè o per rivenderli a prezzi più bassi a parenti e amici. Un altro sistema per rientrare in possesso di soldi contanti, ripulendoli, era quello delle schede carburante: venivano comprate sui siti internet dei diversi gestori, le usavano per comprare migliaia di litri di gasolio che poi veniva rivenduto sottobanco a persone che sapevano della truffa e che lo compravano con sconti anche del 50%. Per ridurre ancora i rischi di venire beccati, facevano ricorso anche ai bitcoin, che poi usavano per gli acquisti sul web. Un altro sistema per ripulire i soldi prevedeva la complicità di una struttura alberghiera Albania: veniva acquistato un pacchetto vacanze, poi la somma veniva divisa dando il 40% all'albergo, 20% al mediatore e il restante 40% agli indagati. Ulteriore canale di ripulitura, quello della linea a pagamento: una centralinista era incaricata di telefonare alla ditta Happy Days, riconducibile a N. F., residente nella provincia di Salerno, prosciugando completamente il credito della carta e trasformandolo così in profitto legale della società. Ultimo sistema, quello delle società di comodo per gli acquisti simulati: gli autori della frode effettuavano pagamenti su Internet fingendo di acquistare prodotti da società fittizie, anche queste riconducibili agli indagati. Non veniva spedito nulla, ma i soldi venivano incassati e poi venivano prelevati, puliti, agli sportelli bancomat o trasferiti a conti correnti esteri intestati agli indagati.

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