Vergogna call center. In Campania molti ancora aperti: “Abbiamo paura”
I team leader che si piazzano ai quattro angoli delle stanze, per sorvegliare e ‘capire', un po' carcerieri ma al tempo stesso carcerati, perché il nemico che si trovano di fronte è invisibile. Al centro del quadrato ci sono i cubicoli, multipli di tre o quattro. E sono nove, dodici, diciotto persone in uno stanzone che di regolare non ha niente, se non la precarietà. Oggi, nel periodo del Coronavirus una delle domande che ci si pone a Napoli, a Caserta come in molte altre zone è : perché molti call center restano ancora aperti nonostante i divieti? È lavoro, ma è lavoro che si può tranquillamente svolgere da casa: basta un computer e una rete internet. Chissà perché, tuttavia, molte aziende di call center in Campania preferiscono affrontare il rischio contagio facendo restare i propri dipendenti, già pagati una fame, in aziende in cui le regole sono una chimera, il rispetto delle leggi sulla salute dei dipendenti, poi, nemmeno a parlarne.
Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza, oggi stanno appresso a venditori abusivi di mascherine e di amuchina, e ai soliti sconsiderati che tentano di farsi beffe di un divieto – quello di circolazione se non per validi motivi – nato per tutelare le loro vite dagli effetti del Covid-19. Dunque difficile che vadano a vedere cosa accade nei luoghi da cui partono le tante (per molti fastidiose) telefonate. Parliamo soprattutto dei call center outbound, quelli in cui cui le telefonate partono dall'azienda e nascono spesso per vendere qualcosa. Sono tanti gli addetti che inviano in queste ore a Fanpage.it foto, video e audio che segnalano situazioni al limite della vergogna e della paura: "Ogni mattina – dice una di loro – devo disinfettarmi tutto, dalla tastiera al monitor al mouse, toccati e indossati altre volte da altri prima del mio turno. Lavoriamo in 8 nello stesso ambiente, potremmo fare lo stesso identico lavoro in smart working. Perché vogliono tenerci così?".