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Cosa c’è dietro il caso Graziano?

Il modello criminale della provincia di Caserta va studiato e approfondito poiché rappresenta l’evoluzione mafiosa della corruzione. Un’evoluzione che accomuna, in questa fase storica, le tre principali organizzazione criminali e che ruota intorno al principio della corruttibilità dei politici italiani.
A cura di Marcello Ravveduto
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Stefano Graziano.
Stefano Graziano.

Qual è la questione che emerge, se fossero confermate le ipotesi dei giudici in sede processuale, dietro il caso Graziano? Innanzitutto il sistema dei “casalesi” non è stato affatto debellato, piuttosto, sotto la costante pressione giudiziaria, si è modificato affinando le tecniche di penetrazione/collusione (già evidenziatesi con l’inchiesta su Nicola Cosentino).

Il modello criminale della provincia di Caserta va studiato e approfondito poiché rappresenta l’evoluzione mafiosa della corruzione. Un’evoluzione che accomuna, in questa fase storica, le tre principali organizzazione criminali e che ruota intorno al principio della corruttibilità dei politici italiani. Infatti, per la prima volta questo modello non è una leva di controllo della società meridionale, teso all’accaparramento delle risorse locali, ma uno schema nazionale di investimento nell’economia nazionale.

Una strategia vincente perché si collega a due aspetti finora ancora sottovalutati: l’indifferenza morale dell’economia e il primato del mercato sullo Stato. Mentre le aziende italiane faticano a trovare la strada per agganciare la globalizzazione le mafie sono riuscite, come è sempre accaduto, a plasmare la loro struttura portante alla deregulation neoliberista.

Se il mercato è principe, e lo Stato deve abbassare le sue pretese di regolazione legislativa, si aprono spazi enormi alla ridefinizione delle mafie quali operatori economici transnazionali in grado di investire in settori nevralgici il surplus del narco-reddito.

Ascoltate Tano Carriddi (Remo Girone):

https://www.youtube.com/watch?v=x6Gc2ATeCCk

La parte finale dell’intervento è illuminante:

Vi propongo di capire dove va il mondo. Vi propongo di capire quali vie nuove si sta scavando il fiume del denaro […]. Non serve più fare la guerra allo Stato, basta usare le leggi che ci sono e costringere il potere centrale a farne delle nuove, su misura per noi e per i nostri interessi […], reale autonomia da ogni potere che ci consenta di diventare il territorio intoccabile del nuovo potere finanziario […]: un colossale porto franco che scavalchi le leggi e le frontiere. I grandi capitali, legali e illegali, ormai mischiati, indistinguibili tra loro troveranno qui il loro più sicuro rifugio.

E termina dicendo che i clan sul territorio saranno ne più, ne meno che una forza di polizia schierata a difesa di questa prospettiva.

Dove finisce la fiction, dove inizia la realtà? L’indistinguibilità delle mafie all’interno dell’economia nazionale è ormai un dato di fatto. Un risultato ottenuto con una modalità di controllo che mitiga la violenza attraverso una governance parallela. I meccanismi di governo della corruzione, infatti, sono tanto più sofisticati ed efficaci quanto più il fenomeno pervade il sistema politico-amministrativo e il grande ammontare di risorse in gioco rende conveniente, per alcuni soggetti, specializzarsi nel fornire la protezione necessaria a un’ulteriore espansione delle reti di scambio corrotto.

In assenza di forze di segno opposto – derivanti dall’azione degli organi dello Stato o dalla diffusione di valori culturali e ideologie avversi alla corruzione – si generano economie di scala che ne riducono costi e rischi attesi quanto più questa si espande, grazie alla formazione di aspettative e regole informali tra loro complementari. Soltanto i soggetti introdotti nel sistema ne sono partecipi, le conoscono e ne rispettano i corrispondenti principi, aderiscono a consuetudini e precetti, a dispetto degli esclusi.

Quando la corruzione è regolata, un sistema di credenze condivise e reciprocamente compatibili (il ricorso alle tangenti come criterio inesorabile all’interno di un’omertà conveniente) diventa la bussola di riferimento nelle scelte di corrotti e corruttori, che a loro volta ne confermano e rafforzano i contenuti. Una volta consolidati i meccanismi di funzionamento “ordinato” e pacifico del mercato della corruzione si stabiliscono norme extra legem durevoli e resistenti al cambiamento, nonostante le loro conseguenze socialmente disastrose.

L’importanza di efficaci meccanismi di governance della corruzione cresce quanto più il dominio del mercato della corruzione si allarga e aumentano i costi derivanti dall’esigenza di acquisire in anticipo informazioni, individuare controparti interessate, verificare l’attendibilità dei soggetti operanti, punire i partner che non rispettano le regole. Le organizzazioni mafiose svolgono in alcune realtà territoriali e per alcuni tipi di transazione il ruolo di terza parte cui è delegato il compito di normalizzare e disciplinare le attività dei molteplici attori (professionisti, burocrati, imprenditori, politici, controllori, ecc.) che interagiscono scambiandosi risorse, segnali, promesse. In cambio di una quota delle risorse in gioco, le mafie si fanno garanti dell’esecuzione degli “impegni contrattuali” e del rispetto delle direttive che sanciscono le condotte accettabili di corrotti e corruttori.

L’essenza del suo potere deriva dal controllo di risorse (in prima istanza di natura coercitiva, ma legate anche alla reputazione, al controllo di informazioni, ai legami sociali, alla manipolazione di simboli e norme) con le quali può imporre un costo, qualora vengano meno le aspettative di “buona condotta”. Se il funzionamento del mercato della corruzione è “ordinato”, le speranze che corrotti e corruttori adempiano regolarmente le loro “obbligazioni contrattuali” si consolidano.

L’organizzazione mafiosa potrà avvantaggiarsene per prima, in qualità di “cliente” della protezione che essa stessa fornisce, nello scambio illegale mediante il quale ottiene dagli agenti pubblici favori illeciti essenziali alla sua sopravvivenza, in primo luogo l’impunità dall’azione delle forze di polizia e della magistratura. In altri termini, i mafiosi producono da soli la protezione necessaria per condurre a buon fine le transazioni corrotte. Intorno alla fitta trama delle transazioni si organizza il cartello dei corrotti/corruttori che gode della possibilità di condizionare le scelte degli amministratori pubblici che sovrintendono le procedure di appalto.

La protezione politico-burocratica facilita l’azione del cartello, da un lato ostacolando l’accesso di concorrenti esterni (tramite la predisposizione di artificiose griglie di sbarramento nei bandi, con il passaggio di informazioni riservate sui tempi e sui criteri di aggiudicazione, ecc.), dall’altra assicurando la disponibilità di meccanismi punitivi nei confronti degli inadempienti.

Corruzione e collusione, sotto questo profilo, sono attività illegali che si sostengono a vicenda: se le imprese del cartello domandano servizi protettivi ai politici e ai burocrati corrotti, questi ultimi, avendo come unico interlocutore i referenti del cartello, possono spartire con esso la rendita più elevata che la sua presenza assicura. Anche i rischi di coinvolgimento penale sono inferiori per gli amministratori pubblici corrotti quando ai contatti con molteplici aspiranti corruttori si sostituisce un unico legame stabile con i soci del cartello dominante.

Questa è la ragione per cui il potere delle mafie si rafforza quando non si spara.

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