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Denunciate donne, ma non vi aspettate di essere salvate

Per anni le campagne di prevenzione della violenza di genere si sono alimentate con il monito: ‘Denunciate’, attribuendo a quel passo un potere salvifico. L’amara verità è che dopo la denuncia una donna si sente ancora più sola ed esposta.
A cura di Angela Marino
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Imma Villani
Imma Villani

Se la vicenda di Imma Villani, giovane mamma napoletana trucidata davanti alla scuola del figlio dal marito che aveva denunciato per maltrattamenti, ci insegna qualcosa, è che la denuncia non ci salva vita. Dopo anni di campagne di informazione antiviolenza, ammetterlo ci fa sentire disarmate di fronte ai nostri assassini, ma così è. La denuncia è l'inizio di un percorso in cui una serie di misure vengono attuate a nostra tutela, ma non è la chiave per risolvere una situazione di violenza, psicologica o fisica che sia. ‘Denunciate', dovrebbero dirci, ma non vi aspettate di essere salvate.

Per anni la cultura della prevenzione ha riversato sulle donne la responsabilità della violenza maschile. Per la serie: lui ti fa del male perché glielo permetti. E se non glielo permetto? Chi mi protegge dalla sua voglia di rivalsa, dall'aumentata aggressività che scatta dopo il rifiuto? Se mi ribello, chi mi dà una mano? Dopo la denuncia, cosa c'è? Sono poche le possibilità. tra queste ci sono centri antiviolenza e case famiglia, ma il tutto va conciliato con le incombenze di una vita normale, l'accudimento dei figli o dei genitori anziani, il mantenimento del lavoro, etc. Diciamolo, il sistema non è proprio perfetto.

E allora la vita di una donna è una scommessa. Bisogna pregare di non imbattersi in un uomo pericoloso e se per caso succede di riconoscerlo e di riconoscerlo in tempo, prima che nascano dipendenze e codipendenze, prima di farci un figlio, possibilmente. Spesso non è possibile riconoscere gli uomini potenzialmente pericolosi, perché il loro esordio violento avviene in maniera irreparabile, con il femminicidio. Ci sono uomini che non hanno mai torto un capello a una donna e che un giorno, senza preavviso, le fanno del male.

Allora qual è la soluzione? Probabilmente non c'è, non si arriverà mai all'esaurimento della violenza di genere, ma di certo si può iniziare a contrastarla con altri strumenti: ribaltando il punto di vista. Ora che le donne sono consapevoli di essere – in alcuni casi – vittime, è ora che anche gli uomini assumano la coscienza, di essere – qualche volta – carnefici. Perché esistono centri per donne maltrattate e per uomini maltrattanti, percorsi e terapie per chi subisce, ma anche per gli chi infligge.

Perché vedere la violenza quotidiana nelle piccole angherie, quelle che sembrano innocue, è un inizio. Anche per chi non è coinvolto. Non dovremmo osservare la violenza da lontano come fosse un mostruoso focolaio che si accende di volta in volta in una città diversa, a ogni femminicidio, ma considerarla parte della società, problema comunitario. Un problema che va affrontato, non evitato con l'isolamento delle vittime.

E se la consapevolezza è importante allora cominciamo da qui: denunciamo sapendo che le forze dell'ordine e i giudici interverranno solo in presenza di reato. Facciamo rete, perché la responsabilità non è della singola donna e del singolo uomo, è di tutti.

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