Ergastolo per Augusto La Torre, il boss psicologo condannato per strage
Il boss Augusto La Torre, ex capo dell'omonimo clan attivo a Mondragone, è stato condannato all'ergastolo. La Torre è stato riconosciuto colpevole di essere il mandante e l'esecutore della strage di Pescopagano del 24 aprile del 1990, che vide cadere sotto i colpi di armi da fuoco cinque persone, con altre otto che rimasero ferite. Fu un massacro in piena regola eseguito a colpi di pistola e mitra, per "ripulire" la zona dagli spacciatori di droga africani, all'epoca gli ultimi "arrivati" nel settore delle vendita di sostanze stupefacenti nel territorio della cittadina casertana. Assieme a lui, il giudice per le udienze preliminari di Napoli ha condannato anche Tiberio Francesco La Torre, suo cugino, a cui è stata inflitta una pena di vent'anni di carcere per concorso in strage.
Augusto La Torre, il boss psicologo
Le particolarità di Augusto La Torre sono molteplici. Nell'ambiente camorristico infatti viene chiamato il boss psicologo, perché in carcere (dove è detenuto dal 1996) ha conseguito una laurea in psicologia. Qualche anno fa aveva anche raccontato la sua storia in una biografia, intitolata "Il Camorfista". Attualmente è seguito dall'avvocato Rosanna Mazzeo, che difende diversi collaboratori di giustizia. Ma il boss La Torre, che con le sue dichiarazioni aveva contribuito in passato a smantellare una parte del clan, è stato in seguito giudicato parzialmente inattendibile per quanto riguarda il proprio patrimonio, mai ritrovato: in questo procedimento, La Torre aveva prima confessato e poi ritrattato.
La strage di Pescopagano del 24 aprile del 1990
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, la strage di Pescopagano del 24 aprile del 1990 fu voluta proprio dal boss per fare una vasta operazione di "pulizia" nel mercato della droga di Mondragone. Sotto i colpi dei killer, caddero sia spacciatori che innocenti: i primi a cadere furono Naj Man Fiugy e Alfonso Romano, entrambi estranei a contesti criminali. Il primo era di nazionalità iraniana, giunto nel bar davanti al quale avvenne la strage per giocare a biliardo, mentre il secondo era un imbianchino che stava bevendo una birra e che, per ironia della sorte, pochi mesi prima era stato intervistato dalla Rai come semplice cittadino che si lamentava per l'assenza di sicurezza nella zona e puntando il dito proprio verso gli immigrati. Subito dopo caddero tre cittadini tanzaniani: Haroub Saidi Ally, Ally Khalifan Khanshi e Hamdy Salim, ritenuti essere spacciatori da parte dei killer e che in effetti avevano con loro, come emerso dai successivi controlli, diverse dosi di eroina. Tra i feriti, invece, ci sono tre tunisini di 19, 20 e 31 anni e un turco di 27 anni, oltre a Francesco Bocchetti, all'epoca 14enne: il ragazzo era nel bar per tenere compagnia al padre, gestore del locale. Venne raggiunto alla spina dorsale e da allora è rimasto paralizzato a vita.