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Falsi permessi di soggiorno: indagini partite da algerino con contatti coi terroristi

Le indagini che hanno portato all’arresto di 7 persone, che pilotavano le pratiche dei permessi di soggiorno in cambio di denaro, erano partite da un flusso anomalo di soldi da e per l’Europa: tra i destinatari c’era un algerino ritenuto vicino a un terrorista ucciso dalla Polizia francese nel 2015, pochi giorni dopo gli attentati di Parigi.
A cura di Nico Falco
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Dai tremila euro per ogni pratica illegale, fino ai 50 euro per ottenere soltanto delle informazioni sullo stato di avanzamenti: dietro i permessi di soggiorno "aggiustati" giravano decine di migliaia di euro, probabilmente centinaia. Per ora sono state accertate 136 pratiche pilotate, in indagini che coprono il periodo 2016-2019, ma non è escluso che ce ne siano molte di più. Eccolo qui, il giro di denaro che ruotava intorno ai permessi di soggiorno, fotografato dalle indagini della Guardia di Finanza che è partita da una indagine sul terrorismo, monitorando dei bonifici sospetti, ed ha scoperchiato una organizzazione criminale che, con appoggi nell'Ufficio Immigrazione della Questura partenopea, aveva trasformato le richieste di permesso di soggiorno in una miniera d'oro. "Ne abbiamo fatti entrare a migliaia", si sente in una delle intercettazioni: il business complessivo potrebbe arrivare anche a diversi milioni di euro.

L'ipotesi dei finanziamenti da Napoli al terrorismo islamico

Le indagini erano partite nel 2016, quando il Gico di Napoli aveva scoperto un anomalo flusso di denaro da Napoli verso Paesi dell'Unione Europea e viceversa. Tutti versamenti effettuati con servizi di money transfer di poco al di sotto dei mille euro, la soglia minima per far scattare i controlli su ipotesi di riciclaggio e, appunto, terrorismo. Era stato individuato un algerino residente a Napoli e tra i soggetti che avevano ricevuto soldi c'era anche un suo connazionale residente in Belgio che avrebbe avuto legami con Abdelhamid Abaaoud, il militante jihadista sospettato di essere uno degli organizzatori degli attentati del 13 novembre 2015 a Parigi e ucciso dalla polizia francese cinque giorno dopo. Gli accertamenti, coordinati dal Pool Antiterrorismo della Procura di Napoli, avevano escluso il finanziamento ai terroristi ma hanno portato alla scoperta di un "agguerrito network criminale" che riusciva a far ottenere, tramite "documenti illegalmente ottenuti", "rilascio e rinnovo di permessi di soggiorno a favore di cittadini extracomunitari, molto spesso privi dei necessari requisiti di legge".

Gli arresti

In manette sono finite 7 persone, arrestate oggi, 23 maggio, dai militari del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Napoli e dalla Squadra Mobile della Polizia di Stato, in esecuzione di un provvedimento del gip su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia. Contestualmente sono state effettuate diverse perquisizioni domiciliari che hanno riguardato anche altre 9 persone, risultate coinvolte nelle attività del gruppo. Ai vertici dell'organizzazione c'era Vincenzo Spinosa, ex ispettore della Polizia ora in pensione che aveva lavorato all'ufficio Immigrazione, che è accusato di essere il punto di raccordo tra gli intermediari esterni, sia italiani (tra cui un avvocato e un commercialista) sia extracomunitari. Uno dei complici era stato arrestato nel novembre 2018 dalla Polizia: nella sua base di Poggiomarino Ahmedi Khemisti, detto "Zidane", aveva migliaia di documenti contraffatti.

Il tariffario per i permessi di soggiorno

Un permesso di soggiorno costava tremila euro, mentre per avere delle informazioni sullo stato della pratica la tariffa partiva dai 50 euro. Per individuare la singola pratica e per controllare lo stato di avanzamento i componenti del gruppo si scambiavano via telefono i codici alfanumerici che venivano assegnati ai fascicoli dal software usato nell'ufficio Immigrazione. Grazie a quei codici, e alla collaborazione della Questura di Napoli, gli inquirenti hanno individuato le pratiche che erano state "trattate" dall'organizzazione, che sarebbero almeno 136, e ricostruito i ruoli dei vari componenti del gruppo. Una parte dei guadagni veniva divisa tra i pubblici ufficiali che fornivano le informazioni e che ora sono accusati anche di corruzione.

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