Finisce l’incubo di Taglialatela: la Corte d’Appello conferma l’assoluzione in primo grado

Adesso lo conferma anche il grado d’appello: Pino Taglialatela non era un prestanome del clan Mallardo. Il dispositivo di assoluzione che, ricalca quello del giudizio in primo grado, è arrivato oggi 20 febbraio. L’estremo difensore, che dal 1993 ha vestito la casacca del Napoli per cinque stagioni, era finito a processo per favoreggiamento al clan di Giugliano per l’intestazione di alcuni veicoli, accusa che durante il giudizio di primo grado era diventata associazione per delinquere; a giugno 2017 era arrivata l’assoluzione, ma la Procura Antimafia aveva presentato ricorso. Così “Batman”, come lo ricordano ancora i tifosi, è dovuto tornare sul banco degli imputati.
Ma anche questo secondo grado si è concluso positivamente con la sentenza della Corte di Appello. Per entrambi i processi l’ex portiere azzurro è stato difeso dagli avvocati Luca Capasso e Monica Marolo; lo scooter che aveva “inguaiato” Taglialatela, spiegano i legali, risultava in effetti dell’ex calciatore e utilizzato da personaggi del clan Mallardo, ma nei fatti non era mai stato di sua proprietà: probabilmente si è trattato di una intestazione fittizia a sua insaputa, usando dei documenti falsi; allo stesso modo anche le automobili intorno a cui ruotavano le accuse erano state di Taglialatela, che le aveva poi vendute a concessionarie ma che risultavano ancora di sua proprietà per motivi burocratici legati a ritardi nella registrazione dei passaggi di proprietà.
“Finalmente si è chiusa una vicenda drammatica – commenta il penalista Capasso – questa storia ha avuto delle ripercussioni enormi sulla vita privata di Taglialatela, che per colpa di quell’accusa ha perso una serie di contatti e anche molti contratti lavorativi. Anche lui è soddisfatto, abbiamo sempre avuto fiducia nella giustizia".