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Gabriella Cipolletta, morta d’aborto nel silenzio degli uomini

A difendere la dignità di Gabriella dagli insulti degli antiabortisti ci sono solo donne: due madri e nessun padre, né quello di Gabriella, né quello del figlio che portava in grembo. Questa “solitudine di genere” è la vera condanna per la donne che subiscono un aborto.
A cura di Angela Marino
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La storia di Gabriella, morta a 19 anni di aborto a Napoli, è una storia durissima. Lo è da diversi punti di vista, alcuni facilmente decifrabili, altri meno.

Gabriella è morta dopo un intervento di interruzione volontaria di gravidanza all’ospedale Cardarelli di Napoli. La notizia della sua morte avvenuta in circostanze oggetto di inchiesta dell’autorità giudiziaria, ha riaperto l’eterno dibattito sull’aborto e sul calvario in cui una paziente incorre decidendo di interrompere una gravidanza. Rimasta incinta, la 19enne non voleva portare a termine la gestazione perché c’era il 50% di possibilità di partorire un bimbo malformato. Si era sottoposta a una cura quando ancora non sapeva di essere in attesa e la salute del bimbo ne era rimasta compromessa.

Ma c’è un altro l’aspetto angoscioso di questa triste storia che la rende ancor più cupa. Subito dopo la notizia della morte di Gabriella la famiglia è finita – comprensibilmente – sotto i riflettori. Emilia, la madre che era con lei in reparto durante l’intervento, ha pianto invocando giustizia, ha spiegato e ancora spiegato i motivi per cui sua figlia aveva deciso di abortire. Gabriella voleva dei bambini nel suo futuro – ha detto alla stampa Emilia – tuttavia non si sentiva in grado di affrontare la responsabilità di mettere consapevolmente al mondo un bimbo malato. Si difende – “è stata una scelta di mia figlia” – difende la ragazza. Distrutta dal dolore, accetta di parlare alle telecamere. Poi si rifugia nelle braccia della cognata Adele, prostrata anche lei, dopo la conferenza stampa, e agli insulti che seguiranno sarà sempre la zia di Gabriella a rispondere. Due donne che difendono un’altra donna.

In questa tragica parabola non ci sono uomini, ci sono solo due madri e nessun padre, né quello di Gabriella, né quello del figlio che portava in grembo e con il quale è morta. Il suo fidanzato ha scelto di non parlare, non si sentiva maturo, forse, per diventare padre e forse non ci si sente neanche per affrontare il lutto e gli insulti ignominiosi che sono seguiti. Così, a quelli che scrivono su Facebook “ben le sta”, “se l’è cercata” parlando della morte della ragazza, rispondono solo le due donne. Tace anche il padre della 19enne che non sarà mai madre, se ne va immediatamente dal nosocomio quando scopre che la figlia è morta. Il dolore lo schiaccia, non vuole parlare, non ce la fa, si chiude nel suo lutto. A prendersi gli insulti, a invocare giustizia, a piangere Gabriella, rimangono solo due donne. E a questo punto, è impossibile non porsi una domanda: perché in questa storia crudele non ci sono uomini? Stupisce e addolora la loro assenza in questa vicenda amara, neanche l’aborto fosse una questione tutta femminile, da delegare alle donne, soprattuto quando abortire è un gesto volontario. Una roba da femmine, insomma. Ed è proprio in questa solitudine di genere che Gabriella è veramente una vittima.

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