Andare a Milano, farsi un giro in Galleria; tornare a Napoli e fare la stessa cosa: è questo il metodo più veloce per arrabbiarsi nel constatare l'irriducibile e incolmabile differenza tra la Capitale del Sud e quella del Nord Italia. La Galleria Vittorio Emanuele II del capoluogo della Lombardia è un gioiello, la Galleria Umberto I di Napoli è un cesso (ci sono le parole, usiamole). I pochi secondi di video che potrete vedere in questo articolo sono una passeggiata dall'ingresso della Galleria di via Toledo, il più trafficato, quello fuori il quale morì il piccolo Salvatore Giordano causa caduta calcinacci. Marmi spaccati, oblò di vetro che cadono a pezzi, transenne e nastro adesivo ovunque: la Galleria Umberto I, struttura monumentale meravigliosa e carica di storia e storie, è incerottata da molti, troppi anni. Nessuno se ne prende cura davvero: i lavori disposti per forza, dopo la morte del bambino, sono un conto. Altro è la cura di un bene comune, locuzione quest'ultima, della quale Napoli e la sua Amministrazione Comunale si sono riempiti la bocca a scopo elettorale ma senza dare un senso.
Un fast food che porta il nome di una multinazionale celebre; negozi di accessori, bar enormi, negozi di abbigliamento, di elettrodomestici: nessuno fa sentire la propria voce a tutela della Galleria. Però i turisti vengono, si siedono, mangiano, sporcano e soprattutto pagano, pagano. I soldi si fanno, in Galleria, eccome. Ma chi fa soldi coi negozi non restituisce nulla di quei guadagni alla tutela del bene comune. L'Amministrazione guidata da Luigi De Magistris da anni fa spallucce, come se ‘il fatto‘ non fosse di sua competenza. Le transenne crescono e si spostano da una parte all'altra, in Galleria continua a piovere quando ci sono gli acquazzoni. Lo sfacelo è sotto gli occhi di tutti, avesse mai qualcuno alzato la voce: un consigliere comunale, un consigliere regionale, un parlamentare, un assessore, un commerciante. I turisti scattano foto a raffica: «Ma è possibile?» si chiede e chiede qualcuno. Sì, è possibile.