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Il suicidio di Tiziana Cantone

I video di Tiziana Cantone ancora online, negli Usa indagine federale su 103 persone

Il team americano che sta seguendo la vicenda di Tiziana Cantone ha portato alla Corte Federale degli Usa 103 indirizzi ip, corrispondenti ad altrettanti account su siti web che hanno pubblicato i video della ragazza o hanno commentato con offese alla giovane suicida o alla madre. L’elenco estrapolato dal “Team Emme”, specializzato in crimini informatici e revenge porn.
A cura di Nico Falco
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Tiziana Cantone e la madre, Maria Teresa Giglio
Tiziana Cantone e la madre, Maria Teresa Giglio
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Il suicidio di Tiziana Cantone

A tre anni dalla morte, i video di Tiziana Cantone, quelli caricati sul web a sua insaputa e contro il suo volere, sono ancora online. Qualcuno riporta nel titolo ancora il suo nome e cognome, altri invece sono stati rinominati, ma sono ancora lì, dopo tre anni le leggi non sono ancora riuscite a fermarne la diffusione. Ma ora l'anonimato del web potrebbe finalmente cadere, inchiodando alle proprie responsabilità quelli che ancora, dopo anni e soprattutto dopo il suicidio, continuano consapevolmente a diffondere i video di Tiziana: un gruppo di investigatori informatici americani ha in mano un elenco di 103 indirizzi ip, tutti italiani, che sono finiti in una inchiesta della Corte Federale.

L'indagine, anticipata da Il Mattino, si concentrerebbe su nove indirizzi ip, corrispondenti a 7 account registrati su siti pornografici, che sarebbero stati usati per pubblicare online i video di Tiziana Cantone dopo la sua morte; tra gli altri 96 indirizzi ip finiti nell'inchiesta ci sarebbero quelli degli utenti che hanno visto il video e hanno postato offese alla 33enne e a sua madre. Il team americano è in contatto con l'avvocato Luciano Faraone, responsabile del settore diritto d'autore dello studio legale Annamaria Bernardini de Pace con sede a Roma, che si è occupato anche di revenge porn.

Il "gruppo Emme" ha bloccato sei video sui server americani, ma altre copie sono state caricate anche su server russi. Per questo, dice al Mattino Maria Teresa Giglio, la mamma di Tiziana, "occorre una ulteriore legge, da affiancare all'altra ottenuta grazie alla battaglia portata avanti per le altre vittime nel nome di mia figlia, una prima conquista che però non può bastare. Serve un intervento più incisivo, che si può ottenere estendendo il modello Emme che finalmente ha consentito di bloccare almeno sei copie del filmato".

"Negli Stati Uniti un privato ha la possibilità di aprire una causa di fronte a un giudice federale – spiega il gruppo Emme a Fanpage.it –  la chiave, a differenza dell'Italia, è che non c'è bisogno dell'intervento e dell'investigazione delle forze dell'ordine, in quanto tutti i criminali che si rendono responsabili di revenge porn, pedopornografia e pirateria affittano i server negli Stati Uniti. Pertanto, perché perdere tanto tempo a cercare tutte le tracciature per scoprire chi sono i colpevoli? Basta andare dai fornitori e un giudice federale può obbligare a dare tutti i nomi dei clienti. Noi l'abbiamo fatto in rappresentanza dei nostri clienti e abbiamo una causa aperta contro i fornitori di servizi ma siamo già in possesso della lista di tutti gli indirizzi ip.

Per essere precisi, un fornitore di servizi come questi non si paga con un nome fasullo, c'è bisogno di un contatto con un direttore commerciale. Parliamo di migliaia di dollari al mese. Quindi c'è un conto corrente e, di conseguenza, i fornitori hanno dati, nomi di società e nomi delle persone. E conoscono la geolocalizzazione di chi va sul sito internet. Il "metodo Emme" si basa su questo. Un giudice federale può anche bloccare un ordine del Presidente degli Stati Uniti e se ordinerà a questi fornitori di darci tutti i dati, compresi quelli dei visitatori, da questo momento i responsabili non potranno più far perdere le proprie tracce".

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