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Il caso di Ciro Rigotti, detenuto malato terminale che ha lottato per morire a casa

Ciro Rigotti è stato ucciso da un tumore che non gli ha lasciato scampo. Prima di morire ha dovuto affrontare un pellegrinaggio continuo tra l’ospedale Cardarelli di Napoli e il carcere di Poggioreale, dove stava scontando nove anni per spaccio. La sua vicenda ha fatto discutere perché “quando ormai non c’è più speranza, un detenuto ha il diritto di andare a casa e di morire nel proprio letto, accanto ai suoi familiari”.
A cura di Gaia Martignetti
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È stato ucciso dal male del secolo Ciro Rigotti, il detenuto della cui vicenda Fanpage.it si è occupata in questi due mesi. Un tumore che non gli ha lasciato scampo, e che lo ha costretto da quel 13 settembre fino quasi al giorno della sua morte a un incredibile pellegrinaggio tra l’ospedale Cardarelli di Napoli e il carcere di Poggioreale, dove stava scontando nove anni per spaccio. La vicenda di Rigotti aveva fatto discutere perché, come racconta l’attivista per i diritti dei detenuti Pietro Ioia, "Quando ormai non c’è più speranza, un detenuto ha il diritto di andare a casa e di morire nel proprio letto, accanto ai suoi familiari". Per Ciro Rigotti, questo è avvenuto, ma dopo una trafila lunghissima e quando ormai mancavano davvero poche ore alla sua morte. Eppure i medici del Cardarelli lo avevano immediatamente dichiarato malato terminale il 13 settembre, offrendogli tutte le cure possibili, che però non gli avrebbero mai potuto salvare la vita. La figlia Nunzia, che ha lottato dal primo giorno per portare a casa suo padre, aveva lanciato un interrogativo, poi caduto nel vuoto quando è iniziata la battaglia per gli arresti domiciliari: "Perché non l’hanno curato prima?". Diversi giorni fa, mentre Rigotti ancora lottava tra la vita e la morte, sono stati diffusi i dati sconcertanti che riguardano proprio le carceri campane: 7400 detenuti e solo 32 i posti letto disponibili all’interno degli ospedali. In uno di questi posti letto messi a disposizione per la sicurezza penitenziaria dei detenuti, c’era Rigotti, al padiglione Palermo del Cardarelli. Verrà dimesso due volte prima di ottenere gli arresti domiciliari ospedalieri il 4 ottobre nel reparto cure palliative di quello stesso ospedale; non una vittoria ma un passo avanti. Rigotti aveva ancora bisogno di molte cure, che a casa non avrebbe potuto ricevere.

Pur riconoscendo questa verità, in tanti hanno chiesto che Rigotti potesse tornare a casa, tra cui anche il garante dei detenuti della Regione Campania Samuele Ciambriello, che è addirittura arrivato a parlare di un recluso che “illegittimamente si trova in quelle condizioni agli arresti domiciliari ospedalieri”. Ciambriello aveva poi aggiunto che gli arresti domiciliari ospedalieri erano sicuramente un passo avanti, ricordando però tre cose fondamentali. In carcere si va perché si possono inquinare delle prove, che potrebbero invece risultare poi fondamentali per inchiodare un colpevole. Perché si può scappare o reiterare il reato. Ma, soprattutto, il carcere deve avere una funzione rieducativa. Il garante proprio ai microfoni di Fanpage.it sottolineò come, nel caso di Ciro Rigotti, non si vedesse né la funzione riabilitativa della pena stando in carcere, né l’inquinamento di prove, la possibilità di scappare né quella di reiterare il reato. Eppure Ciro Rigotti per tornare a casa, da quel 13 settembre quando la situazione era ormai palese e critica, ha impiegato più di un mese. La figlia Nunzia il 16 ottobre ha firmato gli arresti domiciliari, concessi dopo giorni di incredibile sofferenza da parte di un detenuto malato terminale, caduto anche in coma. Una volta tornato a casa, è morto dopo pochissimi giorni, il 18 ottobre, tra le braccia della figlia, che ha lottato fino all’ultimo.

Questa mattina, a Ponticelli nel suo rione, il Conocal, amici e parenti lo hanno salutato. L’avvocato di Ciro Rigotti, Bruno Carafa, ha specificato che prima di quel 16 ottobre, aveva chiesto che il detenuto potesse tornare a casa, ottenendo un rigetto. Poi, sottolinea Carafa, i domiciliari, che fino a quel momento erano stati ospedalieri, sono stati disposti in autonomia del giudice su segnalazione dell’ospedale. Con la sepoltura di Rigotti la battaglia però non si ferma. “Speriamo che questo caso possa smuovere le coscienze dei politici, dei giudici, perché a un certo punto contano più le cartelle cliniche che i reati”, sottolinea Pietro Ioia, dal primo momento accanto al detenuto Ciro Rigotti. “Se esiste un diritto, continua Ioia, un detenuto malato terminale deve poter morire a casa. La battaglia non si ferma, esistono ancora tanti Ciro Rigotti”. “Aveva chiesto di morire a casa sua, tra l'affetto dei suoi cari. Nell'ultimo suo appello, nelle mie denunce pubbliche come Garante, spiega Samuele Ciambriello, nella solidarietà di tanti, eravamo stati tutti interdetti da una giustizia reale, disgregativa e disumana”.

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