Il risveglio di Napoli. Lettera alla città che amo
Stamattina sono uscita presto. Ho indossato occhiali neri e una sciarpa alta. Alle nove ero in stazione. Il freddo era li puntuale, il treno no.
Chi mi conosce lo sa. Sono una pendolare che sogna di essere fuorisede. Anche se l’università l’ho finita da vari mesi.
Napoli è il posto in cui vorrei svegliarmi la mattina. Ho già deciso la casa. Il piano. La piazza. Un ultimo piano. È lì. Ogni tanto la guardo!
Stamattina mi sono svegliata a Napoli. Anzi con Napoli. La sveglia l’ho spenta a casa, lontana un binario di Circumvesuviana da lei, ma il caffè l’ho preso a San Domenico.
E che caffè! Da bere con l’olfatto, prima di tutto.
Per arrivare da quell’aroma ho percorso Corso Umberto. Più addormentato di me. Anche lui con occhiali da sole e saracinesche tarde ad aprirsi del tutto. Come palpebre stanche. Nessun carisma e sintomatico mistero ma solo un venerdì ancora troppo vicino.
Mezzocannone fatta a passo svelto. E la sicurezza di trovare la farmacia di fronte, i negozi di souvenir di lato, i bar a sinistra e l’edicola un po’ più in là. Che se anche non ci abiti, oramai in quei posti, dopo cinque anni di università, chiacchiere, pianti, risate e incontri, un po’ familiare lo senti.
Il caffè con la brioche divisa con un’amica e passo calmo fino a Piazza del Gesù che a me sembra un abbraccio immenso.
Il naso all'insù.
Oramai sveglia, con il sole quasi alto, Dante e Descartes era li che mi aspettava per una commissione per papà. Un libro sulle quattro giornate di Napoli. Ma l’edizione è quasi introvabile. Devo richiamare. Una scusa per ritornare a respirare quell’odore così bello. Le parole odorano di buono.
Via Toledo. Semi vuota e ancora silenziosa.
Entrare in Galleria Umberto per un servizio. I lavori in corso circondano ogni negozio. I ponteggi incartano l'edificio, come silenzioso e drammatico monito di cosa accade quando si trascura cìò che si ama.
Il sole intanto scandisce il tempo,e la musica, ad ogni metro di Via Roma, rallegra il passo. All’improvviso. Con ordinata quotidianità.
Piazza Carità, quindi, Piazza Dante. Coriandoli e bambini. Capitan Uncino doveva parare un rigore di Maradona. «Non tirare ancora! Sto passando!». Ho rallentato il calcio di una partita storicamente fantastica.
Salire Piazza Dante, arrivare al Teatro Bellini. Il botteghino aperto. Giusto in tempo. Uscire, ritornare con calma, sempre a piedi, in stazione. Il tempo è bellissimo. Via Costantinopoli. Gli alberi e le persone che si contano sulle dita di una mano. La piazza riprende il suo posto dopo la nottata passata. Un paio di ragazzi seduti sui lati della statua. Il sole.Piazza Bellini,per me, nelle mattine assolate di inverno, è uno dei posti più belli di Napoli.
Oramai la città è più che sveglia e sta per pranzare.
Io percorro la strada a ritroso ed è un progressivo cambiamento di luoghi, suoni, odori.
Stamattina Napoli non si è vestita da Carnevale. Raccoglieva i coriandoli dei bimbi, avvolta nel freddo calore di una giornata di febbraio. E senza trucco, è ciò che vorrei ogni giorno.