Invitato al bar e poi ucciso dai suoi amici: fu una epurazione interna della camorra
Ciro Nocerino fu ucciso in una epurazione interna del clan Marino, ritenuto dagli affiliati responsabile di avere partecipato all'agguato contro Roberto Manganiello, nipote dei capoclan. È la tesi contenuta nella ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip del Tribunale di Napoli dopo le indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia, che ha disposto la custodia in carcere nei confronti di 4 indagati, ritenuti responsabili dell'omicidio; la misura è stata eseguita dai carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Napoli. L'agguato risale al 25 settembre 2011. Le forze dell'ordine furono avvisate da una telefonata anonima: nel Rione Monterosa, in un lago di sangue, c'era il corpo senza vita di uomo. A terra furono ritrovati 14 colpi di pistola. Ucciso con una gragnuola di proiettili in quello che era uno dei feudi del clan che faceva capo ai fratelli Gennaro Marino e Gaetano Marino. Ciro Nocerino, 41 anni, abitava poco distante.
Era una domenica pomeriggio, quelli che credeva fossero suoi amici lo invitarono in un bar del Rione Monterosa. Quando si accorse della trappola tentò di fuggire, ma venne inseguito, colpito e poi ucciso. Davanti a numerosi testimoni e in pieno giorno, anche se poi dal territorio non arrivò nessun elemento utile per le indagini. All'epoca la vittima era latitante circa 7 mesi, con una condanna a 2 anni da scontare in una casa lavoro; personaggio noto agli investigatori, era ritenuto inquadrati nel cartello degli Scissionisti, protagonisti della prima faida di Scampia contro i Di Lauro con cui cambiò il volto della geopolitica camorristica dell'area nord.
Ora le indagini, fondate su dichiarazioni di collaboratori di giustizia e intercettazioni e riscontri, hanno fatto chiarezza su quella morte: per gli inquirenti l'agguato è stato deciso dal gotha dello stesso clan delle Case Celesti, come punizione. Nocerino era infatti stato accusato dagli altri affiliati di aver preso parte, come complice, al tentativo di uccidere Roberto Manganiello, che ai capi era legato da vincoli di parentela, per contrasti interni al clan. I quattro arrestati sono considerati esponenti di primissimo piano delle “Cinque famiglie di Secondigliano”, consorteria criminale in cui all'epoca era inserito il clan Marino; si tratta di Arcangelo Abete, 50 anni, Arcangelo Abbinante, 29 anni, Giovanni Esposito, 56 anni, e lo stesso Roberto Manganiello, 38 anni, tutti già detenuti.