La Chiesa di San Gregorio Armeno che dà il nome alla famosa strada dei presepi
La Chiesa di San Gregorio Armeno a Napoli, è chiamata anche Chiesa di San Biagio Maggiore o di Santa Patrizia, è un vero gioiello in stile barocco napoletano che dà il nome alla famosa strada dei presepi, via San Gregorio Armeno appunto, conosciuta in tutto il mondo per le sue stravaganze e originalità. Oltre alla chiesa, il complesso si compone anche del convento e del caratteristico chiostro, uno dei più belli presenti in città.
L'edificio si trova in una posizione appartata rispetto alla caotica via dei presepi di San Gregorio Armeno. Per raggiungere la chiesa è necessario lasciarsi alle spalle la via principale per percorrere la scalinata di Vico Maffei. La leggenda narra che la costruzione è stata voluta da Sant'Elena, madre dell'Imperatore Costantino, sulle antiche rovine di un tempio pagano dedicato a Cerere, intorno all'anno 930. Nello stesso luogo, nell'VIII secolo le monache di San Basilio in fuga dall'oriente con le spoglie di San Gregorio, che ancora oggi sono conservate nella chiesa, vi crearono un complesso monastico. Oltre che per la sua indiscussa bellezza e imponenza caratteristica dello stile barocco napoletano che la contraddistingue, la chiesa è famosa perché custodisce le reliquie non solo di San Gregorio, ma anche quelle di Santa Patrizia che è una delle sante patrone più amate della città di Napoli, insieme con altri 51 santi, di cui il amato è San Gennaro.
La chiesa presenta una facciata molto elegante che si compone nella parte inferiore di una cancellata con tre arcate e nella parte superiore da quattro lesene tuscaniche a finestroni, ossia elementi architettonici a forma di fusto, addossati alla parete, leggermente sporgenti dalla parete stessa, muniti di relativi capitelli e base. La chiesa ha un'unica navata e cinque cappelle poste lateralmente arricchite da sontuose opere barocche. Particolarmente imponente è il soffitto a cassettoni, simile alla costruzione della Cappella del Succorpo del Duomo di Napoli, voluto fortemente dalla badessa del convento annesso Beatrice Carafa e realizzato nel 1580 da Teodoro d'Errico. Il soffitto si compone di sedici sezioni, ognuna delle quali narra la vita dei santi di cui il monastero custodisce le reliquie. In seguito al Concilio di Trento, la chiesa subì una serie di modifiche, tra le quali l'inserimento nel 1692 delle scale sante che le monache dovevano salire in ginocchio ogni venerdì del mese di marzo e la ruota, utilizzata come porta di scambio tra l'interno e l'esterno del convento.
Fiore all'occhiello del complesso religioso è il suggestivo chiostro, frutto dell'ingegno dell'architetto Giovanni Vincenzo della Monica. Al centro del chiostro, immersa tra le profumate aiuole di agrumi, si erge un'imponente fontana di marmo in stile barocco, completata da due statue del Settecento raffiguranti Cristo e la Samaritana, vi sono inoltre raffigurati delfini, maschere e cavalli marini, elementi tipici dello stile barocco napoletano. Il chiostro su cui sporgono le celle delle monache dà accesso a due cappelle: una custodisce una tela raffigurante l'Adorazione della Vergine e l'altra contiene diciotto opere di Paolo de Matteis che rappresentano Storie della Vergine. Nel chiostro vi è anche un forno che secondo la tradizione le monache utilizzavano per preparare deliziose sfogliatelle e un pozzo, che in passato veniva utilizzato come via di fuga durante gli assedi che oggi invece comunica con gli itinerari di Napoli sotterranea. Non si conosce con certezza la data di costruzione del chiostro, ma alcune fonti riferiscono che fosse già presente ancor prima del XI secolo. Esso, per molti anni è stato interdetto alla cittadinanza e aperto soltanto nel 1922 quando fu abolita la clausura.