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La Circumvesuviana che ci ha tolto dignità di passeggeri

Ho più paura di salire in Circumvesuviana che di affrontare un viaggio in aereo. il treno dovrebbe essere dignitoso perché dignitose sono le persone che lo usano per svolgere la loro sacrosanta quotidianità dignitosa. E invece così non è.
A cura di Chiara Arcone
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Non è semplicemente un fatto di paura. È tutta una questione di dignità. La dignità di essere pendolari. Non lo nascondo, un giorno dissi a mia madre “ho più paura di salire in circumvesuviana che di affrontare un viaggio in aereo”.
Perché possono anche sostenere la narrazione per la quale i treni rispettano gli orari, ma nessuno mi fa dimenticare la paura provata durante un viaggio in circumvesuviana: una carrozza aveva accennato un inizio di incendio ed il panico si diffuse tra noi pendolari. Non dimentico le attese infinite che il treno ripartisse bloccato in galleria per più di venti minuti affrontati in carrozze che diventavano carnai.
Non posso dimenticare ogni sacrosanta volta che i miei piani sono saltati, che la mia vita è dovuta scalare di un'ora perché la “mancanza materiale” aveva deciso che dalla mia città di provincia non si potesse arrivare alla metropoli in tempo.
La circumvesuviana,da sempre, mi fa molto arrabbiare.
Perché è il mio mezzo di locomozione da sette anni e in potenza potrebbe essere una grande infrastruttura, mentre, in atto è la diligenza della provincia dei paesi vesuviani e non.
Perché si tratta della concezione che si ha della qualità della vita sia di chi vive lavorando su quei mezzi sia di chi li usa.
Perché si tratta di un discorso che comprende la visione che si vuole avere delle periferie e del non lasciarle abbandonate a se stesse.
Si tratta della concezione che hai del tuo paese, del mezzogiorno.
Lo racconto spesso. In Circumvesuviana mi sono sentita inutile per questo Paese.
Se il luogo nel quale vivi non riesce a garantirti una infrastruttura sicura per spostarti, allora, pensi che non è importante quello che stai facendo.
Ero una studentessa allegra e felice quando sobbalzai per questo pensiero. Mi convinsi, guardandomi attorno in quel treno, che se tu sei uno studente, un lavoratore, un disoccupato che sta cercando lavoro, un disoccupato e basta, un turista e devi spostarti allora dovresti essere messo nelle condizioni per farlo, al meglio, nel paese in cui vivi. Perché, se il Paese in cui vivi ti fornisce il meglio e si preoccupa di farti viaggiare su una infrastruttura più sicura ed efficiente vuol dire che ti riconosce un ruolo, riconosce che il tuo spostamento da un punto all'altro è importante.
Da dignità al tuo ruolo.
Il nostro ruolo non era abbastanza importante da meritare una infrastruttura dignitosa.
Quasi un semplice sillogismo riassunse il mio pensiero: che il treno dovrebbe essere dignitoso perché dignitose sono le persone che lo usano per svolgere la loro sacrosanta quotidianità dignitosa.
Quel posto era senza dignità. E dato che le carrozze, la sicurezza, gli orari, le stazioni fatiscenti, continuano ad esistere, allora, è ancora senza dignità

Per fortuna, la dignità la si legge negli occhi delle persone con le quali quel viaggio lo condividi, con le quali quelle frenate le senti, con le quali ti incastri in uno un di quei corridoi all'interno del girone dell'inferno.
La nostra dignità di pendolari viaggia a bassa velocità ed in ritardo per mancanza di materiale. Mentre voi, che avete fatto del mezzogiorno la terza isola d'Italia, e che non investite, ricercate, migliorate, mettete in sicurezza quello che già c'è , voi, siete senza dignità. E se n'è andata veloce, su quella alta velocità, che non contesto, ma che dovrebbe essere disegnata con la stessa forma dello stivale.

Ho provato un senso di empatia con chi percorreva quella tratta diventata una ferita, in Puglia. È  l'empatia di chi non si conosce ma è collegato dal filo rosso di un abbandono senza motivo. Ma vuole restare, perché quella matassa, quel filo rosso, lo si dovrà pur sbrogliare in qualche modo.

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