La “piccola Svizzera” della camorra per dividersi il Porto di Napoli tra i clan
È il 2002, a Napoli infuria lo scontro tra due delle più potenti consorterie criminali napoletane, i Mazzarella e l'Alleanza di Secondigliano. Ma sangue e pallottole non fanno bene agli affari di nessuno. Si deve trovare un accordo, o almeno un patto di non belligeranza per continuare a fare soldi senza temere di uscire a ritirare il pizzo e ritrovarsi con un proiettile nella schiena. E così, allo stesso tavolo di un ristorante del Borgo Marinari, ai piedi di Castel dell'Ovo, si siede il gotha della camorra napoletana.
Ci sono tutti: Ciro Mazzarella ‘o scellone per i Mazzarella, Giuseppe Ammendola per i Contini, Antonio Calone per l'Alleanza di Secondigliano. E c'è un'altra persona, che finora era era stata solo sfiorata dalle inchieste: Carmine Montescuro, ‘o munuzz. Senza un vero clan alle spalle, senza una forza militare o economica che lo metta in condizioni di sedersi allo stesso tavolo coi boss della camorra, ma con qualità diverse: carisma, diplomazia, si potrebbe dire saggezza. E che in questo incontro a tavola fa da consigliere, da mediatore, da garante. È grazie a lui che la guerra, che pure ha lasciato a terra morti eccellenti nelle gerarchie di camorra, si conclude con un accordo che divide la città in due macroaree, ognuna assegnata a un cartello.
Il ruolo di Montescuro come ‘o Stregone di Gomorra
Il ruolo ricoperto per decenni da Montescuro per la camorra napoletana era uguale a quello di ‘o Stregone, il "vecchio saggio" di Gomorra – La serie che faceva da punto di riferimento neutrale organizzando i summit tra i vari clan per cercare un accordo che potesse andare bene a tutti. Ancora una volta, insomma, è evidente come la fortunata fiction, spesso accusata di ingigantire il fenomeno, non abbia fatto altro che attingere dalla realtà e dalle inchieste giudiziarie. Solo che, invece di sedersi al tavolo con don Edoardo Arenella, Enzo Sangueblu e i fratelli Capaccio, Carmine Montescuro si occupava delle controversie tra chi il sangue lo faceva scorrere sul serio.
La piccola Svizzera della camorra di Napoli
Fin da quel periodo, quasi venti anni fa, Montescuro era considerato negli ambienti della malavita "il paciere di Napoli", con rapporti diretti coi capoclan, che a lui si rivolgevano per risolvere controversie e per avere un luogo neutrale dove incontrarsi. Proprio la sua area di influenza, dove pure si dedicava a usura ed estorsioni, veniva definita "la piccola Svizzera".
Si erano rivolti a lui anche il clan Sarno e i Formicola per trovare una tregua dopo l'omicidio di Guglielmo Esposito, ucciso nel 1996: in quella circostanza Montescuro portò in dono, come segno di pace, una collanina d'oro a Ciro Sarno da parte del clan Formicola. Ma come è riuscito Carmine Montescuro a preservare un ruolo del genere fin dagli anni '80, senza scontrarsi apertamente con gli altri gruppi criminali né finire invischiato in indagini dell'antimafia?
Ha mantenuto un profilo basso, bassissimo. Non è mai voluto uscire dal suo piccolo regno, dalla sua comfort zone, senza mai ambire a ruoli di comando su altre aree della città e senza allearsi con nessuno, preferendo rimanere neutrale. Come la Svizzera, appunto. Il ruolo emerge dall'ordinanza eseguita oggi, 24 dicembre, dalla Squadra Mobile di Napoli, una misura cautelare per 23 persone, tra cui i capi dei principali clan di Napoli; per Montescuro, proprio a evidenziare la sua pericolosità e la sua influenza, è stato disposto il carcere malgrado la sua età: oggi ha 84 anni.
Montescuro paciere di Napoli tra i clan di camorra
Tra gli altri destinatari dell'ordinanza, arrivata alla fine delle indagini della Procura di Napoli, ci sono Salvatore D'Amico ‘o pirata, del clan omonimo di San Giovanni a Teduccio, con roccaforte nel Rione Villa; i capoclan Ciro Rinaldi, detto My Way, e Gennaro Aprea, entrambi della zona orientale di Napoli; Mario Reale, del clan omonimo di San Giovanni a Teduccio; Giuseppe Cozzolino, del clan Mazzarella; Stanislao Marigliano e Antonio Marigliano, del clan Formicola del "Bronx" di San Giovanni a Teduccio; Gennaro Caldarelli e Giuseppe Vatiero, detto Peppe ‘a Basetta, del sodalizio Caldarelli-Vatiero delle Case Nuove, nel centro di Napoli.
I mediatori della camorra per Porto e Zona Ospedaliera
Ci sono delle aree della città, hanno evidenziato le indagini, che non possono essere appannaggio di un solo clan. Tra questi c'è la Zona Ospedaliera, con tutto il potenziale guadagno dell'illecito legato direttamente o all'indotto degli ospedali, che costituisce un "business a parte" rispetto al territorio del Vomero e dell'Arenella e non può finire sotto l'esclusiva influenza del clan che controlla le aree circostanti.
E come il Porto di Napoli, punti nevralgico di traffici legali e illegali. In queste circostanze entrano in gioco i mediatori, come Montescuro per l'area portuale: si assicurano che i proventi delle estorsioni vengano equamente divisi ai vari clan, in base alla forza del gruppo e all'influenza del territorio, evitando guerre di camorra che bloccherebbero gli affari.
Gli intrecci tra politica, enti pubblici e camorra sono stati anche al centro di una precedente operazione di polizia giudiziaria, eseguita nel maggio 2019 e nata dalla stessa indagine, che ha portato a 6 ordinanze di custodia cautelare, 1 interdizione dai pubblici uffici per 12 mesi, perquisizioni e sequestri a carico di imprenditori e funzionari pubblici dell'Autorità Portuale di Napoli indagati per corruzione e turbata libertà degli incanti.