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La vera storia di Giò, la camorrista che voleva essere un uomo: ecco perché è morta

Giò avrebbe rifiutato di mettersi in affari con il clan Amato- Pagano. Esponenti della cosca nata dalla scissione coi Di Lauro avrebbe avrebbero avvicinato la 41enne proponendole di fare affari con loro. Proprio il rifiuto della proposta sarebbe il movente del delitto.
A cura di Angela Marino
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Un rapimento, una esecuzione, una pista che porta agli affari della camorra con la droga e sullo sfondo la feroce criminalità della periferia nord di Napoli. Questo lo scenario della morte di Giò Arrivoli, 41 anni, uccisa a con 3 colpi di pistola alla testa e al torace e poi gettata in una fossa. Gestiva un bar nel quartiere 219 a Melito. Il locale, base operativa degli scissionisti, è il crocevia del traffico di droga. Giò, precedenti penali per droga, scarcerata nel 2012, era stata una capopiazza e, secondo la prima ipotesi, sarebbe stato un ammanco di cassa per una partita non pagata a far scattare la sentenza di morte.

Un fermo, quello dell'uomo che ha seppellito e occultato il cadavere di Giò, sembrava condurre in quella direzione. Poi l'uomo è stato rilasciato: insufficienti secondo il giudice, gli indizi di colpevolezza. L'uomo era sospettato di occultamento di cadavere sulla base di un’intercettazione dello scorso 6 maggio, rivelatasi poi inconsistente. Non sarebbe stata, dunque, una partita non pagata a condurla alla morte e nemmeno l'ambizione di diventare boss di quella donna dura che aveva sempre rifiutato il proprio genere, tanto da farsi recidere il seno. La verità sarebbe un'altra, Giò avrebbe rifiutato di mettersi in affari con il clan Amato- Pagano. Esponenti della cosca nata dalla scissione coi Di Lauro avrebbe avrebbero avvicinato la 41enne proponendole di fare affari con loro. Proprio il rifiuto della proposta sarebbe il movente del delitto.

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