C'è una sorta di pudore e il timore di scivolare nella retorica del politicamente corretto a tutti i costi quando si tratta di usare la parola femminicidio. Viene maneggiata con cura, in piccole dosi, amministrata con sapienza per non abusarne e per non urtare la suscettibilità di quanti credono che un omicidio, sia un atto di violenza contro l'umanità tutta, a prescindere dal genere. Eppure, è proprio il genere la discriminante di un certo tipo di delitti: come chiamare quello che ha visto bruciata viva con in grembo la figlioletta di 8 mesi, Carla Caiazzo, 38enne di Pozzuoli? Come definirlo se non (tentato) femminicidio? Voleva ucciderla – l'ex compagno – e uccidere la loro bimba, come testimoniano alcune lettere in cui manifesta il desiderio di strangolare la ex, o solo sfigurarla, offuscando la sua bellezza per sempre? La rabbia, il desiderio di annientamento, la volontà punitiva nei confronti di una donna che aveva osato affrancarsi da lui e vivere, sebbene incinta, una sua vita, che cosa sono se non sentimenti e pulsioni "di genere"?
Una volta lo chiamavano delitto d'onore. Era definito così l'omicidio di una donna, che fosse moglie, sorella, madre o figlia, che avesse macchiato la "rispettabilità" di un cognome con una relazione, o semplicemente abbandonando il marito, affrancandosi, proprio come aveva fatto Carla. Bruciarla, accoltellarla, o spararle era considerato accettabile, tanto è vero che fino al 1981, nel nostro ordinamento, per un uomo che uccideva la moglie, la quale gli aveva arrecato "offesa", le pene erano minori rispetto a un delitto con movente diverso. E l'articolo 587 del Codice penale, abrogato con una legge del 5 agosto 1981, prevedeva una pena ridotta per chi uccidesse la moglie, la figlia o la sorella al fine di difendere "l'onor suo o della famiglia". Uccidere la donna che si ribella alla violenza, al sopruso, che rivendicava la propria libertà era considerato delitto "riparatore". Proprio la connotazione "di genere" lo derubricava a reato minore. La stessa che oggi che ne fa un crimine efferato. Il vero successo della società sarebbe proprio questo: convertire il "genere" da attenuante a aggravante, dando un significato preciso, culturalmente, alla violenza o alla persecuzione perpetrata in virtù di un genere. Il retaggio di secoli di misfatti "necessari", sembrano avere, però, specie nel sanguigno Sud, ancora la meglio.