Maddaloni, racket sui distributori automatici, il boss: ‘Per il pizzo porta il kalashnikov’
"Non devi andare col fucile, ma con il kalashnikov, perché con un colpo gli spacchi la vetrina". Consigli per risparmiare tempo ed essere più incisivi, che il boss della camorra casertana Salvatore D'Albenzio dava al suo braccio destro che di lì a poco sarebbe dovuto andare a chiedere il pizzo a un commerciante. Meglio portarsi direttamente il fucile mitragliatore, piuttosto che un fucile semplice: sarebbe bastata una raffica mirata per distruggere la vetrina e la vittima avrebbe capito che non sarebbe stato il caso di temporeggiare prima di pagare. La "raccomandazione" è stata intercettata dalla Squadra Mobile di Caserta ed è finita nell'ordinanza che ha portato ai nove arresti (8 in carcere e uno ai domiciliari) eseguiti oggi nel clan radicato a Maddaloni, in provincia di Caserta, e collegato ai Belforte di Marcianise; le accuse sono, a vario titolo, di associazione camorristica, estorsione e reati relativi ad armi e droga.
A capo del gruppo criminale, per gli inquirenti della Dda di Napoli, c'era Salvatore D'Albenzio, 49 anni, figlio di Domenico "il faraone" e nipote di Clemente D'Albenzio, fedelissimo dei fratelli Domenico e Salvatore Belforte. Secondo le ricostruzioni che hanno portato all'ordinanza l'uomo spadroneggiava su Maddaloni riscuotendo il pizzo da di imprenditori, controllando il traffico di droga e imponendo anche le forniture di macchinette per la distribuzione di caffè e snack: uffici e attività commerciali erano obbligati a rimuovere quelle che già avevano e a installare quelle fornite da società collegate alla cosca. Gli episodi contestati risalgono al periodo tra il 2017 e il 2019. Oltre a D'Albenzio, tra gli altri, è finito in carcere anche Antonio Mastropietro, di recente condannato a 30 anni in appello per un omicidio avvenuto per questioni di spaccio di droga.
Gli investigatori della Squadra Mobile hanno inoltre rilevato che il clan si era "adeguato" alla situazione economica: i cantieri edili, in crisi, erano stati risparmiati dalle richieste di pizzo, e gli estorsori si erano rivolti agli imprenditori meno in difficoltà. Gli arresti arrivo nel primo giorno della fine del lockdown, anche per evitare che, con una maggiore libertà di movimento, boss e affiliato potessero approfittare della ulteriore situazione di crisi dovuta al coronavirus.