Mannarino arriva all’Augusteo: “Napoli è un sogno, poi amo Maria Nazionale e Nino D’Angelo”
Lo scorso anno furono 2000 persone a riempire la casa della Musica per ballare e cantare sulle note di Mannarino, il cantautore romano che in questi ultimi anni è riuscito a creare una fanbase enorme e fidatissima. Autore nel 2017 di "Apriti cielo", album che ha esordito in testa alle classifiche di vendita, Napoli si conferma una delle città che lo ama di più, costringendolo a bissare il giorno dopo la data del 16 aprile per contenere le tante richieste arrivate per il concerto previsto al Teatro Augusteo. Un amore che è assolutamente ricambiato, come sa chi lo segue o chi era a Fuorigrotta qualche mese fa, quando dal palco il cantautore ringraziò Maria Nazionale che lo ascoltava dal pubblico e come conferma a Fanpage.it parlando della città, della sua musica e anche di Nino D'Angelo, altro faro di questi ultimi anni, in gradi di realizzare – come anche lui cerca di fare da tempo – un'importante ricerca musicale.
La domanda sulla città in cui si fa il concerto è un classicone, però chi ti conosce sa che hai un rapporto particolare con Napoli, giusto?
Non ti nascondo che per me Napoli è un sogno, mi piacerebbe anche viverci, ha un'anima, un popolo, una lingua meravigliosa e c'è molta arte. Musicalmente per me è veramente il cuore d'Italia, tanto è vero che è l'unica musica italiana paragonabile al jazz, alla Bossanova, alle musiche uscite fuori da territori nazionali e che sono alte e connotative di un popolo.
Al tuo ultimo concerto in città invitasti Maria Nazionale, ma un altro dei cantanti che pure, mi pare, ti piacciono è Nino D’Angelo. Quale Nino preferisci, quello del caschetto o quello della svolta più world?
Vero, sono un ammiratore di Maria Nazionale ma anche di Nino D'Angelo: amo quello degli ultimi anni, mi piace la sua ricerca musicale, quello che ha cercato di fare con la ricerca sull'Africa, sulle radici comuni della tammurriata e di quei ritmi, i ritmi arabi del nord Africa del Maghreb. Ha raccontato un sentimento popolare, immagini popolari, dandogli però una dignità più alta e m'è piaciuta anche la trasformazione dal caschetto biondo al Nino D'Angelo maturo. Questa ricerca di mettere più valore e ricerca musicale nel suo percorso è una cosa che gli va riconosciuta.
E questa continua ricerca è qualcosa che vi unisce…
Beh, ormai viviamo nel cosiddetto Villaggio globale, quindi come fai a chiuderti in casa tua? In più adoro viaggiare, fare esperienze musicali, suonare con altri musicisti, andare a vedere concerti fuori dall'Italia… assorbo tutto e lo metto dentro le mie cose.
Questo nuovo live arriva dopo i numeri incredibili di quello precedente e, mi pare, viste le location, che sia una cosa più intima, o sbaglio?
Sì, è un live totalmente differente, a parte la scaletta in cui ci sono un sacco di brani che non ho fatto nell'altro, ho riarrangiato tutto quanto, è totalmente differente: c'è questo filo conduttore che lega le canzoni tra loro in una drammaturgia, un discorso che si muove su vari piani, quelli interni, intimi, personali e quelli universali, politici. Sono delle visioni, degli spaccati non interpretabili, non posso spiegare cosa sono perché è molto irrazionale tutto quello che succede sul palco, dalle luci agli arrangiamenti fino ad alcuni escamotage etc. Quello che faccio è invitare chi viene a lasciare fuori dal Teatro, per un paio d'ore, la razionalità, dimenticarsi delle bollette, della macchina, della politica, di tutto ciò che è razionale, entrare e lasciarsi invadere dai suoni, le parole e le immagini e poi, dopo, penserà a quello che ha visto.
L’ultima volta arrivai qualche minuto dopo l’inizio e la terra tremava per la gente che saltava. Può essere veramente più intimo un tuo concerto? Che risposta hai avuto dal pubblico?
Questo tour è l'altra faccia di "Apriti cielo", l'altro lato di questo disco, ed è totalmente l'opposto dell'altro spettacolo, anche se, poi, verso il finale, c'è un momento in cui la gente si alza e balla. È uno spettacolo in cui il silenzio e l'attenzione sono importanti. La cosa che mi piacerebbe è riuscire a invitare le persone a dimenticarsi anche il cellulare per un paio d'ore: non se ne può più, siamo totalmente assuefatti, abbiamo perso la capacità di lasciarci andare ad una cosa e prestare attenzione. Io quando salgo sul palco, al buio, vedo dei cellulari in mano e penso a me e alle volte in cui le grandi idee mi sono venute nei tempi d'attesa o mentre mi preparavo a un appuntamento. Mi piace che questo spettacolo sia qualcosa che va in questo senso, che proprio il pubblico possa dimenticarsi di quello che c'è fuori e prendere tutto quello che arriva dal palco.
E riesce a farlo?
Sì, succede, ovviamente credo che la cornice influisca molto, nei Teatri questo è più semplice, però devo dire che quando poi il pubblico capisce succedono dei momenti di magia, in cui sento che stiamo tutti lì insieme e che sta succedendo qualcosa.
A proposito di Villaggio globale: qualche settimana fa è uscito "Ultra Pharum", che ti ha visto protagonista assieme a Samuel. Un pezzo sulla diversità, la sua importanza, una canzone di “apertura”, inclusivo, anche nelle parti cantate, col francese, il senegalese, lo spagnolo ad alternarsi all’italiano. Volevo capire se stavi andando, in generale, verso quella direzione…
Sì, mi sto muovendo in questa direzione anche per i prossimi lavori: sto viaggiando molto, guardando al di là del mio orizzonte. Cercare di interpretare i miei tempi significa anche questo, tirare fuori la curiosità e la libertà di lasciarmi andare a quello che c'ho dentro. In quel testo ci sono tante lingue, è tutto un flusso di coscienza che racconta tante storie, delle immagini. Mi piacciono meno le canzoni in cui spiego qualcosa, racconto qualcosa dall'inizio alla fine, ma sto andando sempre più verso questa idea della parola e dell'immagine. Mi piace creare delle immagini che poi sono interpretabili da ognuno come vuole, credo che anche questo sia la forza della poesia e quindi è stata una bella occasione per cimentarmi in questo approccio anche perché ci sto già lavorando: sono stato in Brasile a registrare alcune cose, sempre in questo senso, in più lingue e vediamo che esce fuori, poi quando finirà il tour mi ci metterò a lavorare.