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Maresciallo arrestato per accuse false: “8 processi da innocente: non perdonerò i magistrati”

“Mi dissero ‘sei in arresto’: mi crollò il mondo”. Così l’ex maresciallo dell’Aeronautica Antonio Valente ricorda il giorno in cui venne ingiustamente arrestato per un terribile incendio negli alloggi dei suoi allievi nella storica Reggia di Caserta. “Da innocente mi sono dovuto difendere in 8 processi e solo la stima dei miei commilitoni mi ha impedito di morire di dolore. I giudici invece, non li perdonerò: accusare un innocente senza prove e insistere a perseguirlo è un gravissimo abuso”.
A cura di Angela Marino
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Nel 1998 due incendi devastano il sottotetto della storica Reggia di Caserta, sede degli alloggi dell'Aeronautica militare. Il primo dei due roghi viene archiviato come fatto accidentale, per il secondo invece, finisce in manette un giovane aviere, Epifanio Mignacca, accusato di essere l'autore materiale dell'incendio. Incastrato dalle telefonate anonime che lui stesso aveva fatto per minacciare nuovi incendi, Mignacca confessa, ma indica come mandante il suo superiore, il maresciallo dell'Aeronautica Antonio Valente. Comincia così per Valente, risultato dopo ben otto processi, totalmente estraneo ai fatti, un lungo incubo fatto di celle senza luce e aule di tribunale.

L'arresto

"A maggio del 1998 vengono da me in Caserma per arrestarmi, mi crolla il mondo – racconta oggi Valente a Fanpage.it (VIDEO). "Mi portano prima nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, poi in quello ordinario, dove messo al muro con la targa ‘Detenuto Valente', posta sul petto, cado a terra svenuto, il dolore è stato troppo forte". Valente resta in isolamento per diciassette giorni, fino a quando i giudici non dispongono la scarcerazione. "Nel carcere ordinario sono stato trattato peggio degli altri detenuti – racconta – quando dicevo che ero un maresciallo, la guardia carceraria mi rispondeva Sì, e io sono il papa!".

L'accusatore ritrattata, ma l'incubo continua

"Affronto poi tutta la trafila giudiziaria, ma nel frattempo Mignacca – che aveva confessato di aver appiccato lui l'incendio per poi accorrere a spegnerlo e ottenere un elogio – ammette che non c'entravo niente, eppure questo non cambia la mia posizione. Ogni volta che un giudice mi assolve perché innocente, un pm impugna la sentenza: è stata una tortura, una persecuzione". "Perché lo hanno fatto? – risponde alla nostra domanda – suppongo perché cercavano un colpevole che facesse notizia, un militare più alto in grado, un ‘maresciallo incendiario' come poi mi chiamarono". Nessuno dei miei commilitoni e dei miei superiori, lo devo ammettere, ha mai mostrato per un momento di dubitare di me". "Quando tornai in caserma dopo la scarcerazione – ricorda con le lacrime agli occhi – il mio superiore mi prese per un braccio mi mostro la caserma e disse: ‘questa è la tua casa'."

Non perdonerò mai giudici

"Epifanio Mignacca? Anni dopo lessi sul giornale la notizia della sua morte, era stato investito da un'auto. Ammetto di aver provato un grande dispiacere per lui. Era un ragazzo instabile, aveva tentato il suicidio da giovanissimo ed era stato addirittura denunciato dalla sorella per violenza sessuale. Proveniva da un contesto difficile, non è stata colpa sua, ma di chi si è approfittato di lui". "Dopo questa tragedia – conclude – sono tornato alla mia carriera e sono diventato luogotenente, andando in pensione con il massimo degli anni". "Ho ottenuto il risarcimento per ingiusta detenzione, ma non ho mai ottenuto che riconoscessero in un aula di tribunale il danno morale ed esistenziale che hanno fatto patire a me, a mia moglie e ai miei figli". "Dopo tanti anni – dice ancora commosso – sono innamorato come il primo giorno dell'Aeronautica, ma loro, quelli che mi hanno interrogato senza avvocato, che mi hanno inchiodato sulla base di dichiarazioni false e hanno continuato a perseguitarmi in tribunale, non li perdonerò mai. Hanno abusato dei miei diritti di cittadino".

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