Miano, sul luogo degli omicidi Nappello: “Vi devono fare a pezzi, vivrò solo per questo”
«Bastardi che me l’hanno acciso. V’anna fa’ ’a piezz, cu tutt’e figli vostri piccirilli. Camperò sul pe’ chesto». «Bastardi che me lo avete ucciso, vi devono fare a pezzi, con tutti i vostri figli piccoli, vivrò solo per vedere questo». La minaccia della donna che urla dietro il nastro adesivo bianco e rosso, posto dai carabinieri per delimitare la scena del crimine, rompe il silenzio di piazza Regina Elena. La giovane è tra i primi familiari accorsi sul luogo dell’ultimo agguato di camorra a Miano, nella periferia a nord di Napoli. Di fronte a lei due cadaveri, stesso nome, stesso destino. Carlo Nappello erano zio e nipote, rispettivamente di 44 e 22 anni, conosciuti nel rione con i soprannomi di Scicchilotto e ’O pavone. Nel primo pomeriggio di oggi, intorno alle 15,30, freddati da venti colpi d’arma da fuoco mentre viaggiavano in sella ad una Honda Sh. Proprio sotto il crocifisso di fine Ottocento, quello miracoloso perché rimasto integro dopo essere stato inghiottito quattro anni fa da una voragine che squarciò d’improvviso lo slargo. Il Cristo in croce, che protesse le vite dei passanti, recuperato nel burrone dai vigili del fuoco e restaurato grazie a volontari e fedeli, insieme alla riqualifica dei giardinetti intorno, divenne simbolo di un quartiere che, nonostante tutto, si rimbocca le maniche per risorgere. Ma a Miano, oggi, ancora un venerdì santo.
I parenti delle vittime arrivano alla spicciolata, vengono fermati dal cordone protettivo delle forze dell’ordine. «Scicchilotto, vita mia, era meglio che t’arrestavano pure a te l’altro ieri, in carcere te putevo vede’, adesso me resta nu funerale». Il riferimento è al recente arresto per estorsione di sei uomini ritenuti affiliati al gruppo Nappello. Sulle dinamiche territoriali di questa cosca sono concentrate ora le indagini degli inquirenti. Clan emergente all’indomani dell’azzeramento dei Lo Russo dopo i pentimenti, i Nappello sono in contrasto con gli Stabile-Ferrara di Chiaiano, ma nell’allargare i propri affari illeciti potrebbero aver pestato i piedi anche ad altre famiglie malavitose “confinanti”. Scenario aperto, quindi, ipotesi a 360 gradi. E le strade diventano teatro di scontri.
Sono le 17 ancora grida. «Nun è overo, dorme!», non è vero, dorme. La mamma della vittima più giovane arriva come una furia, vuole vedere suo figlio, i militari cercano di fermarla, è il caos nel piccolo spiazzo. Spintoni, schiaffi in faccia per la rabbia. Tre uomini del 118 aiutano la donna a sedersi, sta per svenire. Si avvicina un carabiniere, lei si aggrappa alla sua mano, la stringe, cerca conforto. Un’immagine che stride, dolorosa nel suo paradosso, mentre un uomo si siede a terra, accanto al corpo del ragazzo, e comincia ad accarezzare l’asfalto. Incrocio di via Vincenzo Valente con via Liguria, proprio all’ingresso del drappello della Polizia Municipale, di fianco c’è la sede della Settima Municipalità e quella del distretto 30 dell’Asl, di fronte la chiesa di Maria Santissima Assunta in Cielo. Nel centro storico di Miano la Scientifica fa i suoi rilievi. La motocicletta in curva, i rivoli di sangue che scivolano lungo la discesa e si fermano in prossimità del tombino, i bambini seduti sul marciapiede a guardare il macabro spettacolo, il fotografo redarguito dalla zia del morto “Non stai ad un matrimonio, finiscila con questo foto” .
Il copione dell’agguato si fonde con l’emotività collettiva che si specchia nei suoi riti di morte. Alle 18 arriva la polizia mortuaria. C’è uno scontro violento tra gli stessi parenti. «Simm nuje i Nappello di Miano, no tu, ora jatevenne, è finito lo show» urla un uomo colpendo in testa una donna con una borsa. I carabinieri arginano le escandescenze, fanno sgomberare piano piano la via ancora interdetta al traffico veicolare.
«C’è un vuoto istituzionale in questo territorio, colmato da altri, non c’è politica, giorni fa la commemorazione dell’attentato di Falcone affidata ad incompetenti» commenta amareggiato don Francesco Minervino, parroco della chiesa dell’Assunta. Udito il rumore degli spari, il sacerdote, dalla parrocchia che affaccia direttamente sulla piazzetta, si è precipitato in strada e ha dato l’estrema unzione. «Non si fa più scuola – aggiunge -, i ragazzi non studiano più, sono coinvolti in una miriade di progetti che non servono alla loro formazione. La gente, oggi inorridita, è spaventata. Sempre. Ma bisogna starci qui, viverci, per capire. Il problema non sono i ragazzi affascinati da falsi miti, loro imitano. Il problema sono gli adulti, incapaci di proporre e stimolare». Sotto l’antico crocefisso di bronzo. «È simbolo di una realtà crocifissa e martorizzata – dice il prete -, di continuo».